Alessandro Baricco, The Game, 2018

Alessandro Baricco, The GameQuesto libro ha l’innegabile merito di studiare il cambiamento che stiamo vivendo, il passaggio da analogico a digitale. Dice Baricco che quest’era, con caratteristiche abbastanza precise e individuabili, sarà ricordata dai posteri con l’importanza che diamo ad epoche passate quali Illuminismo, Romanticismo, ecc. La mappa che disegna, tuttavia, così come le categorie scelte per descriverla, non mi convincono fino in fondo.

Si potrebbe già osservare che l’innovazione digitale è un’innovazione tecnologica. Si potrebbe “semplicemente” sostenere che come l’invenzione della macchina a vapore è stata una delle cause dello scoppio della prima rivoluzione industriale, così l’invenzione ed introduzione del digitale ha causato la terza rivoluzione industriale (o forse sarebbe meglio dire rivoluzione dei servizi, o semplicemente rivoluzione economica), con tutte le conseguenze psico-sociali attinenti ad una rivoluzione.

La mappa disegnata da Baricco, comunque, una rappresentazione della realtà la restituisce, mettendone in luce alcune caratteristiche.

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Randy Ingermanson, How to write a Novel using the Snowflake Method, Ingermanson Communications, Inc., 2014

Sono istintivamente contrario a scuole di scrittura o manuali di scrittura. Sono cioè dalla parte di tutti quei (penso numerosi) scrittori che sostengono che a scrivere non si può insegnare. Sarebbe, in sostanza, una di quelle cose che hai o non hai. D’altra parte una volta ho sentito un’intervista ad un insegnante di scrittura creativa che diceva che i suoi corsi servivano ad essere pronti quando l’ispirazione fosse venuta, a mettere insomma insieme una sorta di valigetta degli strumenti, e l’ho trovata un’affermazione sensata. Io ho un background semiotico, considero Umberto Eco un maestro, dunque non sono a digiuno di materie quali ad esempio la narratologia. Per chi non avesse mai sentito parlare di questi temi, forse, un corso di scrittura creativa potrebbe aiutare. D’altra parte è anche vero che molti scrittori di successo, forse la maggioranza, hanno imparato leggendo e scrivendo. Altri vengono invece da scuole di scrittura. Pare che in questa, come in molte altre questioni, non vi sia una ricetta fissa.

Ho deciso di ‘schedare’ brevemente questo testo perché mi ha aiutato a finire un libro (iCal) in cui per vari motivi ero invischiato da anni, non riuscivo a ‘risolverlo’.

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Alexander Lowen, Il linguaggio del corpo (ed. orig. 1958)

Alezander Lowen, Il lingiaggio del corpoRaccolgo qui di seguito una serie di appunti poco organizzati e un po’ in ordine sparso su questo libro. Metterli a posto prenderebbe troppo tempo.

Lo ritengo interessante principalmente per due motivi. Il primo è l’idea che sta alla base della stessa teoria terapeutica proposta da Lowen, che associa corpo e psiche, rigidità del corpo, flussi energetici bloccati, e problematiche relative alla psiche. Il secondo è dato dalla caratteriologia, dai tipi caratteriali proposti.

Premettendo che io stesso sono pieno di rigidità, vorrei redarguire il lettore poco pratico di questo tipo di testi. Potrebbe capitare, come del resto succede anche a me, di riconoscersi in tutti o molti dei caratteri problematici descritti. Credo sia una reazione normale, che non deve allarmare, e può inoltre aiutare a guardare l’altro con maggiore empatia ed apertura mentale. Tutti abbiamo un carattere di qualche tipo.

Il carattere dell’individuo, quale si manifesta nel suo modello tipico di comportamento, si configura anche a livello somatico con la forma e il movimento del corpo. La somma totale delle tensioni muscolari viste come gestaltiche, cioè come una unità, il modo di muoversi e di agire, costituiscono la “espressione corporea” dell’organismo. L’espressione del corpo è il complesso somatico dell’espressione emozionale tipica che a livello psichico si definisce come “carattere”. In qualche modo la postura del corpo, essendo naturale, fa parte dell’Es.

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Umberto Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Milano, Feltrinelli, 1999

Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica.

Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo.

Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca.

M. Heidegger, L’abbandono (1959)

Fabio Garzitto

In quest’opera considerevole, a mio avviso, sotto ogni punto di vista, e anzi, sempre a mio parere, incentrata su uno dei temi più importanti con i quali l’umanità dovrà, suo malgrado, confrontarsi (per lo meno mi auguro lo faccia, senza continuare a nascondere la testa sotto la sabbia), Umberto Galimberti, rifacendosi alla filosofia che va dagli antichi greci ai nostri giorni, mette in rilievo come, sebbene noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, ci troviamo invece nella situazione in cui, si potrebbe affermare, è la tecnica stessa a pensarci.

Inconsapevoli, ci muoviamo ancora con i tratti tipici dell’uomo pre-tecnologico, che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona. E poiché il suo funzionamento diventa planetario, questo libro si propone di rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età umanistica e che ora, nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati alle radici. Mutando l’universo simbolico di riferimento, che dà senso sia a categorie generali che alla nostra vita quotidiana, muta anche il nostro modo di rapportarci alla realtà.

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Diego Fusaro, La notte del mondo. Marx, Heidegger e il tecnocapitalismo, Milano, Utet, 2019

L’umanità dell’uomo e la cosalità delle cose si dissolvono nel calcolato valore commerciale di un mercato che non solo si estende fino ad abbracciare la terra come mercato mondiale, ma che, in quanto volontà di volontà, mercanteggia nell’essenza stessa dell’essere.

M. Heidegger, Sentieri interrotti

Fabio Garzitto

In questo testo Diego Fusaro rinnova un filone della ricerca filosofica che si potrebbe far risalire ai decenni successivi alla Rivoluzione Industriale, ad esempio proprio con lo stesso Marx, e che, con continui riaffioramenti, giunge fino ai giorni nostri. In particolare, l’autore conduce un’analisi di come il tema della tecnica sia stato trattato da Marx ed Heidegger, di come l’approccio pur critico di questi due autori sia stato in sostanza differente, e di come potrebbe essere coniugato per poter tornare a guardare al futuro con speranza.

Marx, come sappiamo, è il teorico dell’alienazione e della necessità quasi morale di compiere l’esodo dal regno della reificazione capitalistica. Heidegger riprende questo tema, sostenendo però che Marx non avrebbe capito fino in fondo l’essenza della tecnica. D’altra parte, se Marx sosteneva non solo che fosse possibile, ma si dovesse cercare alternative al modus operandi del capitalismo, Heidegger sembra invece considerare il mondo della produzione tecnica e le sue leggi economiche come date, addirittura come compimento della metafisica occidentale, come un destino, considerando la tecnica come un Gestell, un impianto anonimo e autoreferenziale, sotteso e ormai immanente alla nostra maniera di vivere.

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