Alessandro Baricco, The Game, 2018

Alessandro Baricco, The GameQuesto libro ha l’innegabile merito di studiare il cambiamento che stiamo vivendo, il passaggio da analogico a digitale. Dice Baricco che quest’era, con caratteristiche abbastanza precise e individuabili, sarà ricordata dai posteri con l’importanza che diamo ad epoche passate quali Illuminismo, Romanticismo, ecc. La mappa che disegna, tuttavia, così come le categorie scelte per descriverla, non mi convincono fino in fondo.

Si potrebbe già osservare che l’innovazione digitale è un’innovazione tecnologica. Si potrebbe “semplicemente” sostenere che come l’invenzione della macchina a vapore è stata una delle cause dello scoppio della prima rivoluzione industriale, così l’invenzione ed introduzione del digitale ha causato la terza rivoluzione industriale (o forse sarebbe meglio dire rivoluzione dei servizi, o semplicemente rivoluzione economica), con tutte le conseguenze psico-sociali attinenti ad una rivoluzione.

La mappa disegnata da Baricco, comunque, una rappresentazione della realtà la restituisce, mettendone in luce alcune caratteristiche.

Diamole subito un’occhiata, tanto per capire di cosa stiamo parlando. È costituita dalla messa in successione di categorie, invenzioni, prodotti, tecnologie ed aziende che hanno dato vita alla rivoluzione digitale. Sono nomi noti. Eccoli.

Gioco (Space Invaders, Play Station), Computer (Commodore 64, Mac, Ibm, Windows 95), Digitalizzazione (Dvd, Cd, Fuji, Mp3), Commercio (Ebay, Amazon), Rete (Mosaic, Google, Yahoo!, Web), Storia (9.11, Dot.Com Bubble), Webing (Skype, Lost, Napster, Wikipedia, Youporn, Youtube, Kindle), Smartphone (Iphone, Blackbarry), Social (Linkedin, Flickr, Myspace, Facebook, Twitter), The Game (Telegram, Whatsapp, Instagram, Tinder, Snapchat // M5S, Obama, Lehman Brothers // Apple Store, iCloud, Spotify, Tv Digitale // Airbnb, Uber), Intelligenza Artificiale (Alphago).

Questa nuova mappa, caratterizzata da tutto ciò che è appena stato citato, viene chiamata da Baricco “The Game”. È in sostanza una nuova dimensione di realtà iniziata negli anni Settanta a San Francisco, grazie ad un insieme di ingegneri, scienziati, informatici, hippie, esponenti della controcultura, nerd, che ha cominciato a svilupparsi in contemporanea con i primi videogiochi (vedi Space Invaders). L’atto di fondazione del Game sarebbe la presentazione dell’iPhone da parte di Steve Jobs nel 2007.

Il concetto di gioco, come si può notare dallo stesso titolo del saggio, è importante. Costituirebbe addirittura l’architettura mentale con cui i primi fondatori crearono il Game. Una prospettiva fatta di mostri da sconfiggere, livelli da superare, difficoltà che cresce assieme al punteggio. Un certo numero di vite, poi la fine. Sarebbe anche l’architettura odierna, il suo modo di funzionamento, il suo modo di interpretare la realtà.

Baricco descrive i primi fondatori come dei libertari, il cui motto sarebbe potuto essere pace, amore e uguaglianza, e gli attribuisce lo scopo di ribellarsi alle atrocità che aveva prodotto il Novecento (per esempio due guerre mondiali, dittature, sterminio degli ebrei).

“Un’insurrezione che diventa civiltà. Una quarantina d’anni di ribellione che defluiscono in un’unica grande Terra Promessa: il Game.”

Il loro sarebbe stato un movimento di ribellione, condotto non attraverso la creazione di teorie o partiti politici, ma attraverso la creazione di strumenti. Alcuni di questi fondatori per certo sapevano che, cambiando gli strumenti, si potevano cambiare non solo le azioni, ma anche le modalità delle azione.

“Molte persone provano a cambiare la natura degli uomini, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche (Stewart Brand, editor, autore, curatore editoriale, che ha tra l’altro coniato il termine di personal computer)”.

Questo movimento americano ha in effetti prodotto i personal computer ed il Web. L’idea di dare un computer ad ogni persona era, all’inizio, tanto idealistica quanto lo fu inizialmente quella di dare a tutti un’autovettura. Ed il web dà a tutti, almeno in potenza, la possibilità non solo di accedere a infinite informazioni, ma anche di contribuire a crearle e a diffonderle.

“Arrivarono a immaginare che tutto il sapere del mondo potesse essere raccolto in un’enciclopedia scritta collettivamente da tutti gli uomini”. E in effetti, vedi Wikipedia.

Va da sé, ma del resto Baricco ne è ben cosciente, che questo Game iniziale si è sviluppato non nel vuoto, ma in determinati sistemi sociali ed economici. Ha dovuto in sostanza entrare in competizione e costituirsi/costruirsi nel mondo economico esistente, facendosi business (del resto lo è stato sin dall’inizio, si potrebbe obiettare, almeno nelle parti a noi pervenute e citate nella mappa).

Un punto che mi colpisce in quest’interpretazione di Baricco della rivoluzione digitale, forse non così importante da un punto di vista pratico, ma una cosa che attira la mia personale attenzione, è l’idea che secondo lui siamo stati NOI umani a decidere questa strada. Gliel’ho sentito affermare esplicitamente in un’intervista, anche se nel libro quest’idea non emerge così chiaramente, anzi.

“Siamo sicuri che non sia una rivoluzione tecnologica che, ciecamente, detta una metamorfosi antropologica senza controllo? Abbiamo scelto degli strumenti, e ci piacciono: ma qualcuno ha badato a calcolare, preventivamente, le conseguenze che il loro uso avrà sul nostro modo di stare al mondo, forse sulla nostra intelligenza, in casi estremi sulla nostra idea del bene e del male? C’è un progetto di umanità dietro ai vari Gates, Jobs, Bezos, Zuckerberg, Brin, Page, o ci sono solo brillanti idee di business che producono, involontariamente, e un po’ a casaccio, una certa nuova umanità? Adesso possiamo azzardare una risposta. No, in effetti non avevano un preciso progetto di umanità, i padri dell’insurrezione digitale, ma conoscevano per istinto una linea di fuga dal disastro, e a quella hanno effettivamente allineato tutto ciò che nel tempo hanno costruito”.

E poi invece:

“Non viviamo in una civiltà nata per caso. C’è una genesi che possiamo ricostruire, e una direzione che ha una sua logica”.

“Qualsiasi cosa nascerà dall’intelligenza artificiale, gli umani hanno iniziato a costruirla anni fa, quando hanno accettato il patto con le macchine”.

Probabilmente quest’affermazione che “noi abbiamo deciso” mi ha colpito così tanto perché io non ci avevo mai pensato. Mi pareva anzi piuttosto ovvio l’esatto contrario: più che “noi”, è la tecnica a deciderci, una volta utilizzata… Ok, è il caso di fare un po’ di chiarezza su questo punto. Non viene trattato da Baricco, ma invece risulta secondo alcuni centrale per discutere della contemporaneità. Si tratta dell’accelerazione tecnologica che costituisce forse una delle caratteristiche più evidenti del tecno-capitalismo nel quale viviamo. L’alienazione nelle macchine, osservata già ai tempi della prima rivoluzione industriale, diventa alienazione nel telefonino, tanto per fare un esempio. E non solo nel telefonino come strumento, ma anche nell’“oltremondo” a cui consente l’accesso (quello dei social, ad esempio, e dell’intero web). Come Charlie Chaplin, ma negli ingranaggi del digitale, fatichiamo a stargli dietro. Siamo noi a dover comprare la parabola perché cambia il sistema di trasmissione delle informazioni, o un nuovo telefonino se vogliamo determinati strumenti… E’ la nuova realtà, quella a trazione digitale. Probabilmente Baricco direbbe che è il prezzo da pagare per godere di tutto quello che il digitale ci ha dato in più o in meglio, e che il fatto che lo accettiamo è la prova che alla maggioranza delle persone sta bene così. Ma l’alternativa quale sarebbe? O stiamo correndo in direzioni consone al tecno-capitalismo stesso, e non abbiamo tempo, voglia o capacità di chiederci se questa strada veramente ci piace, o se si potrebbe pensarne delle altre?

Per usare ancora la metafora della mappa, essa, assieme al suo territorio, cambia a secondo della prospettiva dalla quale la si guarda. Dall’alto della montagna, dal punto di vista dei gamers, dei giocatori, di chi ce l’ha fatta, di quelli che hanno ottenuto un buon ponteggio, apparirà un paesaggio fantastico. Dalla valle, invece, dove stanno i più, forse un po’ meno. Ecco, mi pare che nel corso del suo saggio Baricco usi la prospettiva dall’alto.

Ma vediamo, un po’ in ordine sparso, quali sarebbero alcune delle caratteristiche del Game, e cioè in fondo della nuova “realtà”, che Baricco prende in esame.

Una sorta di volontà di far saltare le élite novecentesche, assieme agli intermediari.

“Dove spariscono i librai, i postini, i mercanti, gli esperti, e insomma qualsiasi forma di sacerdote, resta la presenza vigile di un sistema remoto e, talvolta, le correnti generate da flussi collettivi di enormi dimensioni. Scatta una sorta di effetto marea: il singolo individuo nuota libero in un mare protetto e organizzato in cui non ci sono sacerdoti a rompere i coglioni ma dove correnti create da immense maree collettive lo inglobano senza che lui quasi se ne accorga. Una mosca che volasse allegramente nello scompartimento di un treno in corsa non farebbe un viaggio poi molto diverso.”

Un’altra caratteristica è “posturale”: uomo-tastiera-schermo.

Nel Game, poi, è come se si affiancassero due realtà, a due trazioni, una analogica classica e una digitale.

Nell’oltremondo creato dal digitale si ha la post-esperienza. Post-esperienza di sé: i social.

Il gioco.

“I primi fondatori hanno proseguito per la loro strada come avrebbero fatto in un videogioco: cercando sempre di arrivare al livello superiore e mai interrompendo la partita. (…) L’11 settembre e la bolla finanziaria delle dot.com furono due colpi micidiali, ma qualcuno è restato in gioco”.

“Il mondo attuale è stato disegnato da gente che ha inventato Space Invaders, non il calcio balilla”.

“Il Game ammette quasi esclusivamente giocatori singoli, sviluppa le capacità del giocatore singolo, è pensato per giocatori singoli, sviluppa le capacità del giocatore singolo, dà punteggi ai giocatori singoli. Perfino Trump e il Papa mandano tweet (…) Così il Game è diventato il grandioso incubatore di un individualismo di massa che non abbiamo mai conosciuto”.

“Ma quando milioni di persone si mettono a camminare in controsenso, qual è il senso giusto della strada?”

Un’ulteriore caratteristica del Game sarebbe quella di promuovere strumenti alla cui superficie emerge semplicità e divertimento, mentre tutta la complessità sarebbe nascosta sotto la punta dell’iceberg. Come nelle App.

Proprio attraverso l’analisi delle App è possibile osservare come Baricco intenda queste caratteristiche del Game.

“La trasformazione di orchi misteriosi, pesanti e molto cari (i vecchi software) in leggeri animaletti domestici praticamente gratuiti (le App) porta a compimento un sacco di movimenti iniziati anni prima:

– scioglie il traffico tra mondo e oltremondo dissolvendo la frontiera psicologica che ancora nell’epoca precedente divideva quelle due regioni dell’esperienza;

– porta a regime quel sistema di realtà a due forze motrici che il Web, per primo, aveva cominciato a immaginare;

– permette di far fuori un sacco di mediazioni e dunque di mediatori;

– abitua a risolvere problemi solo e sempre in modo divertente, sciogliendo gli impicci quotidiani in un mare di piccoli videogame;

– generalizza l’impressione di essere ammessi a un’umanità aumentata;

– facilita l’accesso alla post-esperienza;

– inclina alla mobilità assoluta, privilegiando lo smartphone e alleggerendo al massimo la postura uomo-tastiera-schermo;

– riduce, infine, la distanza tra uomo e macchina fino a far percepire i device come prodotti organici, quasi bio, prolungamenti “naturali” del corpo e della mente”.

“The Game” è in certo modo la continuazione de “I barbari”, un testo di Baricco edito nel 2006, una continuazione nello studio della mutazione. Il Game si è sviluppato attraverso la “superficialità” dei barbari. Ecco cosa scriveva allora.

“Quanto a capire in cosa consista, precisamente, questa mutazione, quello che posso dire è che mi pare poggi su due pilastri fondamentali: una diversa idea di cosa sia l’esperienza, e una differente dislocazione del senso nel tessuto dell’esistenza. Il cuore della faccenda è lì: il resto è solo una collezione di conseguenze: la superficie al posto della profondità, la velocità al posto della riflessione, le sequenze al posto dell’analisi, il surf al posto dell’approfondimento, la comunicazione al posto dell’espressione, il multitasking al posto della specializzazione, il piacere al posto della fatica”.

Colpisce l’idea di Baricco secondo cui, grazie al Game, le atrocità umane del ’900 non saranno più possibili. A me sembra che ultimamente siano proprio alcuni movimenti politici, che esprimono idee un po’ contrarie al pace amore e uguaglianza rivoluzionari, quelli che utilizzano meglio a livello di comunicazione e traggono più vantaggio dagli strumenti del Game. Lo stesso Baricco riconosce alcune “disfunzioni” del sistema: la prima è che il Game è difficile, non è per tutti: “non lasceremo nessuno indietro” non è una frase del suo lessico. La seconda è che un sistema nato per ridistribuire potere ha poi creato grandissime concentrazioni di potere. La terza è stata nella decisione di lasciare intatte le grandi fortezze del 900: Stato, Scuola, Chiese.

“Il Game è ancora giovane, per adesso è ancora dominato da chi usava gettoni per telefonare. Deve ancora dispiegarsi con i nativi. Per fare solo un esempio deve ancora sviluppare un suo proprio modello di sviluppo economico, di giustizia sociale, di distribuzione della ricchezza. Il Game va raddrizzato. È così perché quelli che l’hanno creato erano maschi, bianchi, americani e ingegneri/scienziati. Nella maturità avrà bisogno anche di altro tipo di intelligenze: cultura femminile, sapere umanistico, memoria non americana, talenti cresciuti nella sconfitta e di intelligenze che vengono dai margini. Il Game ha bisogno di umanesimo, di senso di umanità, di identità umana e non artificiale. E questo bisogno crescerà sempre di più, mano a mano che ci allontaneremo dall’umanità come l’abbiamo conosciuta. Ma non è il Game che deve tornare all’umanesimo. È l’umanesimo che deve colmare il gap e raggiungere il Game”.

Per concludere, chi decida cosa è una delle perplessità che mi lascia questo libro, così come le categorie scelte per descrivere la realtà (che ho trovato a volte fuori fuoco e loro stesse sfocate, nel senso che non mi parevano rendere ciò che io esperisco, e che non si precisasse bene a cosa, o a quale livello di qualcosa, si riferissero) e la volontà poi di categorizzare il tutto con l’etichetta Game. Del resto della molteplicità delle letture lo stesso Baricco è ben cosciente.

“Ogni mappa è una lettura possibile del reale, una delle tante. Quella a cui ho lavorato registra praticamente una cosa sola, nell’andare recente degli umani: la loro svolta digitale. Ma volendo capirli veramente, quegli umani, potrebbe essere altrettanto utile fare la storia dei farmaci, o degli sport, o del modo di mangiare”.

Tuttavia è un tentativo interessante, a mio parere, capace di attirare l’attenzione sulle dirompenti trasformazioni sociali contemporanee. Inoltre è un prodotto aerodinamico, ottimista, di buon design ed anche, a tratti, divertente, e dunque connaturato alle dinamiche profonde del Game così come interpretato da Baricco. (Anche se, diciamolo, il libro sa un po’ di roba vecchia e noiosa).

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