La fatica di essere se stessi, di Alain Ehrenberg

Ehrenberg, Alain, La fatica di essere se stessi. Depressione e società (La fatigue d’etre soi. Dépression et société, 1998).


Offrire un quadro d’insieme della malinconia… sarebbe come scrivere la storia della sensibilità dell’uomo contemporaneo.

Raymond Klibansky


Ho incontrato questo libro mentre cercavo di capire e approfondire come fosse cambiato il concetto di ‘io’ nel tempo. In questo senso, e sicuramente anche in molti altri, questo testo è molto interessante perché, studiando come siano cambiate le “malattie psichiche” nel corso del tempo, si può comprendere non solo come siano cambiate tali malattie, ma anche come sia cambiata la maniera di considerarle e, soprattutto, la psiche stessa.

Alain Ehrenberg è un sociologo francese. Attualmente è direttore del Cesames (Centre de recherches psychotropes, Santé Mental, Societé), di cui è stato il fondatore.

Nel 1970 la psichiatria dimostra che la depressione è il disturbo psichico più diffuso al mondo. L’autore si chiede quali siano le ragioni e le implicazioni sociali per cui essa abbia potuto conquistare il primato fra le patologie del profondo e, appunto, in quale misura essa è rivelatrice delle mutazioni dell’individuo nell’ultimo scorcio del XX secolo.

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David Riesman, La folla solitaria (ed. orig. The Lonely Crowd, 1950)

Anche se alcuni ritengono quest’opera datata, ne parlo perché mi pare un testo fondamentale per cogliere le mutazioni antropologiche passate e presenti.

L’autore propone tre modelli di persona, sviluppatisi nel passaggio dal settore primario, a quello secondario ed infine al terziario in cui ci troviamo oggi, e dipendenti dall’andamento demografico della popolazione. Sebbene quest’ultima tesi sia stata discussa, il testo rimane a mio parere importante e denso d’idee illuminanti.

L’autore è stato un sociologo statunitense, professore di diritto nell’Università di Buffalo e di sociologia nelle università di Chicago e di Harvard.

Al centro dell’analisi è il “carattere sociale americano”, e in larga misura di tutto l’Occidente sviluppato, quale si è formato nella società di massa. Innumerevoli sono le intuizioni acute e anticipatrici, come le analisi del rapporto genitori-figli, della dipendenza dal gruppo dei pari, dell’influenza ambigua dei mass media, della dialettica tra lavoro e tempo libero. Ne emerge con vigore la figura – per certi versi persino tragica – dell’uomo-massa: eterodiretto, educato alla scuola del conformismo, schiacciato dal bisogno di approvazione e di successo, abitante di un mondo governato dalle apparenze, spogliato della propria individualità, solo e disarmato nella moltitudine che gli si affolla intorno.

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La scuola di Toronto. Innis, Havelock e McLuhan

 

Questa scuola si chiama in questo modo perché nacque e si sviluppò nell’università canadese di Toronto, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. Alcuni sostengono che tale pensiero si possa definire “determinismo tecnologico”. Per quanto mi riguarda, ed è il motivo per cui ho voluto dedicargli un articolo, questa scuola è importante perché, con i suoi autori più rappresentativi, quali tra gli altri Harold Innis, Eric A. Havelock e Marshall McLuhan, per la prima volta, per quanto ne so, viene discusso e studiato come una tecnologia possa determinare, o quanto meno influire, sullo sviluppo delle società e quindi anche su quello degli individui che la compongono.

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Berger-Luckmann, “la realta’ come costruzione sociale”

Berger Luckmann La realtà come costruzione sociale

Berger, Peter L. – Luckmann, Thomas, La realtà come costruzione sociale, Bologna, il Mulino, 1969 (2008. The Social Costruction of Reality, New York, Garden City, 1966).

 

Si tratta di un testo di riferimento della sociologia della conoscenza, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1966. Ne faccio qui di seguito un breve riassunto, perché in parte è legato alle teorie espresse dal personaggio Maurizio in iCal, dall’altro costituirà una teoria rilevante nella stesura vera e propria de La tesi di Maurizio, un saggio che sto completando sul dividuum postmoderno.

Inizio inoltre, con questo articolo, a pubblicare le schede di alcuni libri che, per me, sono stati importanti.

La tesi generale dell’opera è sintetizzata nel titolo. La realtà, quella quotidiana in cui viviamo ogni giorno, così come ci appare nella sua ‘normalità’ e ‘naturalezza’, sarebbe in realtà il frutto di una costruzione sociale, culturale. Una sorta di Matrix, insomma. Non tecnologica, come nella metafora costituita del film dei fratelli Wachowski ma, appunto, culturale.

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