Berger-Luckmann, “la realta’ come costruzione sociale”

Berger Luckmann La realtà come costruzione sociale

Berger, Peter L. – Luckmann, Thomas, La realtà come costruzione sociale, Bologna, il Mulino, 1969 (2008. The Social Costruction of Reality, New York, Garden City, 1966).

 

Si tratta di un testo di riferimento della sociologia della conoscenza, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1966. Ne faccio qui di seguito un breve riassunto, perché in parte è legato alle teorie espresse dal personaggio Maurizio in iCal, dall’altro costituirà una teoria rilevante nella stesura vera e propria de La tesi di Maurizio, un saggio che sto completando sul dividuum postmoderno.

Inizio inoltre, con questo articolo, a pubblicare le schede di alcuni libri che, per me, sono stati importanti.

La tesi generale dell’opera è sintetizzata nel titolo. La realtà, quella quotidiana in cui viviamo ogni giorno, così come ci appare nella sua ‘normalità’ e ‘naturalezza’, sarebbe in realtà il frutto di una costruzione sociale, culturale. Una sorta di Matrix, insomma. Non tecnologica, come nella metafora costituita del film dei fratelli Wachowski ma, appunto, culturale.

Riproponendo e sviluppando l’approccio fenomenologico del loro maestro, Alfred Schutz, gli autori Berger e Luckmann costruiscono un modello teorico che cerca di spiegare come la realtà sia in parte data, in parte dipenda dalla maniera in cui ogni singolo soggetto la interpreta.

L’identità personale, il soggetto conoscente, non sarebbe solo il frutto di processi e moti d’animo psitici interni all’uomo, come normalmente sostenuto in ambito psicologico ma, come invece spiegato anche dalla psicologia sociale (gli autori si rifanno esplicitamente a George Herber Mead), il risultato di forze che hanno a che fare anche con la struttura ‘culturale’ o, forse sarebbe meglio dire ‘simbolica’, della società.

Il modello teorico che prova a spiegare come ciò sia possibile è strutturato nella classica modalità dialettica tripartita di hegeliana memoria, e si compone di tre stadi: esteriorizzazione, oggettivazione, interiorizzazione.

Come ben sintetizzato da Loredana Sciolla nell’introduzione a quest’opera, l’essere umano non interagisce solo con un ambiente naturale, ma anche con un ordine culturale. Perché emerge quest’ordine? Com’è fatto? Quali sono i suoi meccanismi? Come si preserva?

L’ordine culturale viene a crearsi, per semplificare, in base a consuetudini che si ‘tipizzano’ e ‘istituzionalizzano’. In base ad azioni ripetute che diventano schemi socialmente legittimati o leggittimantisi.

Le istituzioni, sociologicamente intese, fanno in qualche modo da tracce implicite, permettendo un’organizzazione umana che non debba decidere ogni volta da capo cosa si debba fare, o in quale modo.

Al centro dei tre processi che permettono la formazione, il consolidamento e l’efficacia di questo ordine culturale che costituisce la società, ogni società, ci sono le singole persone. L’identità personale che, fenomenologicamente, in parte costruisce ed in parte è costruita, in parte modifica ed in parte è modificata, da quest’ordine culturale che crea e da cui è creata.

Il bambino impara che lui è veramente quello che lo chiamano. Ogni nome implica una nomenclatura, che a sua volta rimanda a una collocazione sociale designata. Il fatto che mi venga assegnata un’identità significa che mi viene assegnato un posto specifico nel mondo.

Nella seguente citazione, che racchiude un po’ tutta la tesi del libro, sono riassunti in estrema sintesi i tre processi studiati:

La società è un prodotto umano. La società è una realtà oggettiva. L’uomo è un prodotto sociale.

Nei primi due processi (da intendersi dialetticamente), cioè come continuamente in cambiamento ed auto influenzantisi, l’uomo prima esteriorizza le sue attività, cioè le compie, semplicemente. Queste attività vanno cristallizzandosi e istituzionalizzandosi, diventando quindi oggettive.

La società ‘oggettivata’, cioè il mondo sociale ‘naturale’, che appare ‘così com’è’, in realtà necessita di essere continuamente autoriprodotto e legittimato. Quest’ultimo processo è fondamentale, e si attua attraverso il depositario e la casa della cultura (e anche dell’essere, direbbe Heidegger), cioè il linguaggio. Gli autori individuano diversi livelli, da cui sarebbe formata questa cultura: dai proverbi, passando per teorie accademiche o professionali, arrivando fino a ciò che chiamano universi simbolici, quali ad esempio quelli religiosi.

Anche questi universi simbolici, una nozione a mio parere fondamentale, possono essere studiati nel loro costituirsi. Secondo gli autori, tale costituzione avverrebbe secondo i seguenti processi: oggettivazione, sedimentazione e accumulazione. Si noti come la struttura ricordi quella espressa per spiegare la formazione della società stessa. Per esemplificare, si immagini come i primi miti si siano formati attraverso delle storie raccontate oralmente, e come queste storie, che rappresentavano ad esempio spiegazioni di come si fosse formato il mondo, che costituivano già in qualche modo oggettivazioni, esteriorizzazioni di spiegazioni, si siano sedimentate nella memoria delle rispettive tribù e si siano poi accumulate.

Questi miti, e gli universi simbolici in generale, benché siano in qualche modo impliciti, naturali, sono ciò che legittimano le biografie individuali e l’ordine istituzionale. Le singole istituzioni vengono legittimate grazie alla collocazione in un mondo significativo che le comprende tutte.

Ricapitolando, dunque, gli esseri umani costruirebbero le proprie società nel corso dei decenni e dei secoli, esteriorizzando una sorta di comportamenti e aggiungerei anche pensieri in modo ricorrente, fino ad una loro oggetivizzazione, ad esempio attraverso consuetudini o istituzioni. A questo punto manca solo il terzo passaggio individuato dai due autori, quello dell’interiorizzazione. Cioè i comportamenti, ed in qualche modo abbiamo detto anche i pensieri, in primo luogo quelli conservati nel, e dall’universo simbolico, devono essere trasferiti alle nuove generazioni, perché queste non debbano essere costrette a costruire tutta la società da capo. Proprio questo passaggio è quello definito come interiorizzazione.

Durante la socializzazione l’individuo assume i ruoli e gli atteggiamenti degli altri, si appropria, in un certo senso, del loro mondo. L’identità, in questo senso, è la collocazione in un certo mondo, derivante dal riconoscimento che il gruppo sociale accorda agli individui.

Si rimanda ovviamente al testo per una spiegazione più esaustiva.

Ciò che mi è sembrato importante, se dovessi riassumerlo in poche righe, è in primo luogo che in questo studio i due autori mostrano come vi siano dei meccanismi in atto, in ambito sociale, nell’esistenza stessa della società, che ci paiono “naturali”, ma che invece possono in qualche maniera essere osservati, ed anche, procedendo ovviamente per tentativi, compresi. Un po’ come succede, in ambito fisico, per il respirare. E’ vero che è un atto quotidiano, ‘naturale’, a cui di solito non facciamo caso, ma è un processo fondamentale che può effettivamente essere studiato.

In secondo luogo mi è parso rilevante anche il sottolineare come l’identità sia non solo l’effetto di fenomeni o processi genetici o psicologici ma anche, ed in maniera non sottostimabile, sociali.

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