La scuola di Toronto. Innis, Havelock e McLuhan

 

Questa scuola si chiama in questo modo perché nacque e si sviluppò nell’università canadese di Toronto, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. Alcuni sostengono che tale pensiero si possa definire “determinismo tecnologico”. Per quanto mi riguarda, ed è il motivo per cui ho voluto dedicargli un articolo, questa scuola è importante perché, con i suoi autori più rappresentativi, quali tra gli altri Harold Innis, Eric A. Havelock e Marshall McLuhan, per la prima volta, per quanto ne so, viene discusso e studiato come una tecnologia possa determinare, o quanto meno influire, sullo sviluppo delle società e quindi anche su quello degli individui che la compongono.

In particolare questi autori studiano le tecnologie della comunicazione, considerando non solo gli effetti tangibili, ma quelli intangibili, potremmo dire psicologici, sulle persone che ne fanno uso. Il passaggio da oralità e scrittura studiato da Havelock, per esempio, mette in evidenza come in tale periodo non solo siano cambiate modalità e forme di comunicazione, ma il tipo di ragionamento, di pensiero implicato, producendo probabilmente una mutazione antropologica dell’essere umano.

Si può dire che il fondatore della scuola fu un economista, Harold Adams Innis, in seguito pioniere della sociologia della comunicazione.

Iniziò studiando la costruzione delle ferrovie canadesi, studio che lo portò probabilmente a constatare delle analogie tra trasporti, vie di comunicazione e comunicazione tout court. Gli interessavano in particolare la geografia, la tecnologia e le forze economiche nel plasmare la vita produttiva.

Passò poi, quasi “naturalmente”, alla sociologia, convinto che le modalità della comunicazione, le tendenziosità (in inglese bias), svolgevano un ruolo almeno pari a quello dell’attività economica nella formazione e direzione della società umana.

Operò nel suo testo, Impero e comunicazione (1950), all’interno dei mezzi di comunicazione la suddivisione teorica tra quelli che si sviluppano nel tempo e quelli che si sviluppano nello spazio. I primi hanno una limitata portata geografica, come ad esempio le iscrizioni e le epigrafi su pietra; i secondi sono invece effimeri, ma raggiungono distanze lontanissime, come radio, televisione e giornali. In particolare egli si occupò dei diversi modi in cui i mezzi di comunicazione determinano il nascere, l’affermarsi e il declinare degli imperi, e in genere i complessi rapporti che si instaurano tra comunicazione e potere economico-politico, fondamentali per la comprensione di quest’ultimo.

L’esponente più famoso di questa scuola fu certamente Marshall McLuhan. Di Innis scrisse: «Mi piace considerare il mio libro The Gutenberg Galaxi: The Making of Typographic Man come una nota a piè di pagina alle osservazioni di Innis sul tema delle conseguenze psichiche e sociali prima della scrittura e poi della stampa».

Secondo il suo celebre motto, il mezzo è il messaggio. Con ciò intendeva dire che il “contenitore” della comunicazione è tanto importante, e forse anche di più, del contenuto. Ne Gli strumenti del comunicare, ad esempio, teorizza che l’utilizzo dell’elettricità ha esteso il nostro sistema nervoso centrale, abolendo spazio e tempo. I media sono gli strumenti con cui abbiamo esteso nervi e sensi. Essi sarebbero in grado di plasmare e controllare quanto e in che modo avvengono le azioni e le associazioni umane.

Un suo allievo, De Kerckhove, ha poi continuato quest’ordine di studi per quanto riguarda Internet e la contempraneità.

Concludiamo questa breve introduzione alla Scuola di Toronto con uno studioso a mio parere davvero eccezionale, per profondità, originalità e cultura. Assieme ad un altro studioso, il gesuita Walter L. Ong, studiò e anzi fondò un campo di studi che si occupa del passaggio da oralità a scrittura nell’antica Grecia. Il suo lavoro ha profondamente influenzato quello di Innis e McLuhan. La sua tesi di fondo fu che tutto il pensiero Occidentale è stato profondamente determinato da questo passaggio, passaggio di un’importanza tale che a fatica possiamo coglierlo. Dalle sue stesse parole: “L’invenzione dell’alfabeto greco costituisce un evento nella storia della cultura umana, la cui importanza non è stata ancora completamente compresa”.

Il suo lavoro più importante fu, probabilmente, A Preface to Plato (1963).

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