
CARLO BETOCCHI. DA PIU’ OSCURE LATEBRE

In questa sezione pubblico una selezione di poesie
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Di Siviglia resteranno le arance a dicembre,
Le luci delle architetture gotiche e arabe sul fiume di sera,
le espressioni orgogliose e tormentate del flamenco,
il battito dei tacchi sul pavimento, la litania delle voci, la chitarra.
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Resteranno le parole scambiate con un senza casa
su una panchina di fronte alla Cattedrale,
resterà l’eco dei passi nel Casco Viejo,
eco di passi di un altro Casco Viejo
direbbe forse Borges.
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Resteranno le folle accalcate fuori dai locali,
resterà un Cristo su fondo nero
terribilmente elegante di Zurbaràn.
Resterà la mia amata ceramica araba.
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O forse nulla di tutto questo.
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Resteranno i monumenti,
resterà Zurbaràn,
resterà il flamenco
resteranno i turisti.
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Qualche riflesso, forse.
Qualche riflesso, sì, in altre parole, in altri pensieri.
In altre emozioni.
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Era un mattino
Non era presto
Ma la città si sveglia tardi
C’era una luce strana
Forse filtrata dallo smog
La città dormiva ancora.
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Un uomo a una mostra di Salgado.
Le foto erano degli anni Ottanta e Novanta,
raccontavano mondi scomparsi.
Lotte contadine, pugni alzati.
In Italia forse nel Dopoguerra, negli anni Sessanta o Settanta, forse in Sudamerica esistono ancora.
Chissà.
L’uomo era davanti ad un’opera, fotografava dettagli con uno smartphone.
Il volto incavato, pallido, gli abiti smessi.
Era strano, si muoveva come dovesse scusarsi d’essere lì.
La sua presenza mi ha rincuorato, ai miei occhi era vero.
Tra lui e quelle foto, forse, c’era ancora una qualche connessione.
Quelle opere non avevano ormai più nulla a che fare con quella stanza, con quel paese, il paese dove giace il corpo di Pasolini, con me, con tutta la gente presente.
Ma lui non era come noi. Lui e quelle foto forse potevano ancora parlarsi.
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L’acqua calma, appena mossa,
su cui si muove placido il vento,
una grande isola al centro,
le colline attorno ci guardano,
ma non ci fanno paura.