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Di Ellis avevo letto American Psycho (1991) e Lunar Park (2005) qualche annetto fa, del resto da Schegge all’ultimo romanzo che ha scritto, Imperial Bedrooms (2010), sono passati 13 anni. Di entrambi avevo apprezzato la resa un po’ paranoica delle vicende/realtà, oltre alle sue innegabili capacità narrative. American Psycho, penso si possa dire, è entrato nell’immaginario collettivo grazie al film che ne hanno tratto.
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In Schegge si ripresenta in certo senso la stessa “atmosfera” dei romanzi precedenti, che vorrei però qui delineare in maniera più precisa perché mi ha piuttosto impressionato. Lo dico per inciso, ritengo che questo sia un romanzo notevole. Non intendo parlare del contenuto, cosa del resto totalmente irrilevante nel caso di un romanzo letterario, a questo proposito dirò solo che si tratta di un’autofiction in cui compare il Bret di oggi che scrive un romanzo del lui che aveva 17 o 18 anni e andava al college a Los Angeles con altri ricchi rampolli e si scopava (direbbe lui) una delle più belle della scuola e il suo amico era il quarterback che stava assieme alla sua amica che era la rappresentante degli studenti e la più bella della scuola e andavano spesso strafatti in giro sulle loro Porsche e Mercedes e qualche volta alle feste dove c’erano anche i divi hollywoodiani (le feste le davano i loro genitori che erano più strafatti di loro).
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In questo romanzone da settecento e più pagine, che però mi ha preso dall’inizio alla fine senza troppi cali di interesse, sono molti e piuttosto profondi i temi trattati. Si può cominciare dall’adolescenza e dalle dinamiche tra gli amici all’ultimo anno di “superiori”. Continuare con Bret che a volte si racconta come un supereroe a volte come uno sfigato. Un Bret anche scrittore, a volte un po’ introverso, che mette molto coscientemente in campo i vari sé che di volta in volta servono e pensa al romanzo che sta scrivendo (e che sarà un successo). Proseguire con il passaggio da un’infanzia felice ed ovattata all’incontro con una realtà terrificante. Di come questo terrore prenda Bret, che tuttavia lo affronta con droghe e valium, ed anche il lettore, che lo affronta come può. Io ho creduto, fino quasi alla fine del libro, che quel che raccontava potesse essere successo veramente. Poi ci sono i primi rapporti sessuali di Bret con altri uomini, che vengono raccontati abbastanza esplicitamente, così come quelli con la sua ragazza. Poi c’è Los Angeles, guidata in lungo il largo, con moltitudini di citazioni di canzoni e film dell’epoca. Poi c’è un serial killer, e come questo affetta Bret e chi ha intorno. Poi c’è il rapporto di amore/odio con un compagno di scuola appena arrivato, ed il rapporto che un po’ tutti questi ragazzi sembrano avere con i loro genitori e con l’ambiente che li circonda.
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Questo romanzo potrebbe essere forse considerato come un affresco politically uncorrect della Los Angeles degli Anni ’80, benché non tocchi nessun tema politico. Forse Bret Easton Ellis è uno di quegli scrittori che si ama o si odia, io personalmente trovo che questo romanzo sia la testimonianza che nella letteratura contemporanea ci sia ancora spazio per coraggio e libertà (certo bisogna essere talmente bravi da poterselo permettere). Mi pare che la sua sia una ricerca non solo sul realismo ma anche dentro il realismo, in profondità oscure. Che il suo toccare argomenti scabrosi, psicotici, al limite della normalità, non faccia che svelare, in un certo senso, il lato psicotico della nostra normalità. O almeno della mia.
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Meriterebbe un approfondimento a parte l’abilità dell’Ellis narratore, ma questo al prossimo aggiornamento. Forse.