In questo saggio si sostiene che le attuali società postmoderne favoriscano un modello di persona a cui viene assegnata l’etichetta di dividuum, coniata per rendere evidenti anche attraverso i termini utilizzati le differenze tra questo modello e quelli che l’hanno preceduto, e cioè il condividuo promosso dalle società agricole e l’individuo delle società industriali.
Per descrivere questa nuova “forma” di persona si utilizzano in particolar modo teorie e termini derivati dalla psicologia, dalla sociologia e dall’economia. La “persona” viene così caratterizzata come un’entità che può essere naturalmente descritta tramite tratti psicologici, come una coscienza di sé formata da parti consce ed inconsce, come un’entità singola dotata di un passato, di voglie, obiettivi e desideri, di sentimenti ed un particolare carattere, di un’identità, insomma, ma anche, ed è questa in particolare la prospettiva evidenziata, come una sorta di “costrutto” sociale. Non si discute di persone, ma di “modelli” di persone. Ciò che si vuole evidenziare non sono le differenze, ma le somiglianze. Non i singoli come dotati di un insieme di caratteristiche che li rendono unici, ma modelli, formati da un insieme di tratti che li rendono simili. Se da una parte una data società sarà sempre formata da singole persone, con le proprie idiosincrasie, dall’altra, perché tale società possa esistere, è necessario che le persone che la compongono, quanto meno la maggioranza, abbiano un insieme di pensieri, comportamenti e caratteristiche comuni.
Modelli di persona, dunque, che dipenderebbero (quantomeno anche) dal tipo di società in cui sono inseriti. Ma cosa si intende per società? Quali sono le caratteristiche che devono essere prese in esame per determinare le sue regole di funzionamento, ed in base alle quali ci devono essere poi determinati comportamenti ed atteggiamenti da parte dei singoli componenti affinché tutto funzioni? È probabile che la scelta del tipo di società che si intende descrivere determini anche i modelli di persona osservabili. Qui si è scelto di dare particolare rilievo ai fattori economici, assumendo che la maniera in cui i membri di una particolare società si procacciano il necessario (o anche il non necessario) per vivere possa essere considerato determinante per poter distinguere un tipo di società da un altro. Ciò che si prende in esame è, poi, la familiare distinzione tra società primarie (o agricole), secondarie (o industriali) e terziarie (o dei servizi). A ciascuno dei tre modelli di società viene associato un modello di persona.
La tesi, senza presunzioni di esaustività o completezza, prova dunque a descrivere questi tre tipi di società, per poi descrivere i tre modelli di persona che esse avrebbero promosso, secondo una visione non socialmente deterministica. Sarebbe a dire, cioè, che un particolare tipo di società tenderà a promuovere un particolare tipo di persona, ma senza obbligare o costringere.
Dopo questa fase descrittiva, di modelli di società e modelli di persone, si giunge alla questione teorica vera e propria. Se è così, se di fatto un certo tipo di società promuovesse un certo tipo di persona, come avverrebbe tale processo? Ed è qui che entrano in gioco i modelli sociologici e psicologici, con l’introduzione però di un terzo piano che forse non è propriamente sociologico né propriamente psicologico, ma consente la comunicazione tra i due. Questo terzo piano è quello simbolico. La realtà è, in un certo senso, una costruzione simbolico-sociale. Ogni società, per poter esistere, ha bisogno di comunicare in maniera più o meno esplicita ai suoi componenti quali sono le sue regole ed i suoi valori. Questa comunicazione è molto spesso implicita, viene cioè comunicata attraverso simboli. Miti, leggende e religioni, ad esempio, universi simbolici. Per altri versi, invece, è piuttosto esplicita: se non rispetti le regole vai in prigione. Mentre queste sono regole di comportamento, quelle implicite e simboliche hanno più a che fare con valori, con le categorie di giusto e sbagliato, o anche solo di preferibile e meno preferibile. Se queste “indicazioni”, simboliche oppure no, vengono in qualche modo espresse da una società esse dovranno, per poter “funzionare”, anche essere recepito dalle singole persone. Non da modelli, ma da singole persone in carne ed ossa. Una parte della psiche dovrà essere quanto meno influenzata da questo tipo di comunicazione simbolica.
Tra i pensieri più interessanti che mi paiono emergere da questa tesi è la “storicità” di un concetto straordinariamente complesso, quello di identità. Se in un primo momento può apparire ovvio il fatto che l’identico, per essere tale, deve essere uguale a se stesso anche in tempi diversi, questo tipo di analisi mostra invece come l’identità, addirittura la maniera in cui ci si sente se stessi, non sia data una volta per tutte ma possa dipendere, fra l’altro, ad esempio dal tipo di società in cui ci si trova. Il condividuo delle società agricole, l’individuo delle società industriali ed il dividuo delle società post-moderne sarebbero sempre e comunque se stessi, ma in maniera diversa. L’io del condividuo sarebbe più che altro il suo essere “con”, il suo essere parte di un gruppo e di una società, un ruolo sociale. La sua funzione sarebbe quella di ripetere una parte già assegnata, continuare la tradizione. L’io dell’individuo starebbe invece ancora “in” una società, ma in maniera più differenziata, secondo una visione più atomistica, come parte ben distinta di un tutto. Il modello dell’individuo sarebbe quello dell’uomo (o della donna) capace di farsi da sé, di rinnegare le tradizioni per intraprendere vie nuove e spesso sconosciute. L’io del dividuo, infine, sarebbe diviso fra molte possibilità, tutte, almeno in teoria, possibili. Tutte sostenute, anche se non in maniera così forte e costante come in passato, da uno fra i tanti universi simbolici in cui si è andata scomponendo la società postmoderna (o delle informazioni). Il dividuo non solo può scegliere, il dividuo deve scegliere, e spesso lo fa senza soluzioni di continuità.
Questi mutamenti di “forma” dell’identità, che si è deciso di mettere in relazione con quelli socio-economici che hanno avuto luogo più in generale nelle società, si sono gradualmente sviluppati lungo la milionaria storia della nostra specie, quella dell’homo sapiens. Tuttavia questi stessi mutamenti, sia economici che identitari, possono a ben vedere essere identificati e riscontrati in maniera massiva nell’arco di tre sole generazioni, approssimativamente dalla metà del Novecento all’inizio del nuovo secolo, in tutte le società occidentali, e dunque anche in Italia e nelle sue regioni. È possibile che quest’accelerazione nel cambiamento sociale ed identitario, intercorsa nel tempo che va da un nonno a nipote, possa aver contribuito a creare, quanto meno in alcuni, un certo senso di “spaesamento”.
Carlo, il personaggio principale del mio romanzo iCal – Il viaggio dell’ombra, è un dividuum. Maurizio è un suo amico, alle prese con una tesi universitaria sull’identità postmoderna. In qualche rispetto o capacità, proprio La tesi di Maurizio.