Non conosco Israele, non c’ero mai stato prima, non conosco abbastanza la sua storia. Brevi impressioni per fissare ricordi.
La temperatura mite all’aeroporto, leggermente afosa, arrivando dal novembre italiano.
Le strade di Tel Aviv, tirando il trolley, trafficate, affollate, mi colpiscono le molte biciclette e i monopattini, quasi tutti elettrici.
Riconosco qualche ebreo dal tradizionale vestito e cappello nero, le differenti fattezze arabe, molte altre persone non le avrei distinte per una qualche ragione in una qualsiasi altra città europea.
Il consueto fastidio delle grandi città, del traffico, pesante ma non congestionato, dello smog.
E poi: il mare.
Come se, in me, un polmone prima occluso avesse ricominciato a funzionare. Nuovo ossigeno, il passo leggero, lo sguardo rapito dal Mediterraneo.
Sapevo che sarebbe stato lì, conosciuto, eppure sconosciuto, in quella nuova forma. Inaspettato. Come non si addicesse all’attitudine vibrante da città viva, giovane, vivace, cresciuta ed ancora in crescita, in continua trasformazione, sempre in moto, nervosa, operosa, di Tel Aviv.
Una spiaggia ampia, curata, persone a passeggio, cani, qualcuno faceva il bagno, chi giocava a pallavolo, il tutto profilato da grattacieli che stabilivano il confine tra l’al di qua e la città, al di là, ancora pulsante, ancora, per forza e necessariamente, nonostante questo, in piena attività.
E tutto ciò, dal nulla.
Ciò che sorprende, in Israele, è quanto sia stato fatto, in così poco tempo. Uno stato fondato “artificialmente”, per decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1948.
Tel Aviv fu fondata da sessanta famiglie nel 1909, dal nulla, su dune di sabbia, alle porte dell’antico porto di Giaffa. Dopo la Seconda Guerra Mondiale c’è stato uno sviluppo che l’ha portata a diventare, forse, una delle più belle città del mondo. Oggi conta 450.000 abitanti.
Giaffa, invece, il luogo da cui è nata Tel Aviv, è secondo alcuni il porto più antico del mondo. Secondo la leggenda fu fondata da Jafet, figlio di Noè. Pare sia stata un porto fortificato già a partire dal XIX secolo a.C.
Nella Bibbia viene citata, tra l’altro, per il legno di cedro trasportato qui e poi a Gerusalemme, per costruire il tempio di Salomone. Nella mitologia greca Andromeda fu incatenata ad una roccia per punire la vanità della madre, salvata da Perseo.
Come successo un po’ a tutto il territorio israeliano, anche Giaffa fu oggetto di una seria di innumerevoli conquiste. Dagli Assiri ai Babilonesi, da Alessandro il Grande agli Egizi ai Maccabei. Venne trascurata dai romani, che costruirono il loro porto più a nord, a Cesarea. La Giaffa bizantina cadde in mano agli arabi nel 636, nel 1100 fu conqustata dai crociati, in seguito vennero gli Ottomani e anche Napoleone. Nel 1800 era ridotta ad un villaggio, nel 1820 iniziarono a tornare alcuni gruppi di ebrei e per la fine del secolo era un fiorente porto, con molte navi che trasportavano pellegrini e immigranti ebrei.
E da lì è venuta Tel Aviv.
Una città, oggi, molto europea, per un turista che come me non conosce e non sa distinguere i tratti originali della cultura ebraica, con la ovvia ed evidente presenza araba. Una città veloce ed efficiente, i mezzi pubblici sono frequenti e costano poco, così come i musei. Il cibo è più costoso, ma i prezzi, in generale, sono equiparabili a quelli europei.
I quartieri diversi l’uno dall’altro, da quelli centrali del business, con i grattacieli, a quelli arabi della periferia, fino al ricco e curato lungomare.
Arrivare a Giaffa, da Tel Aviv, vedere le pietre con le quali è costruita, pensare che son lì da un tempo che la mente fatica a concepire, immaginare che da lì sono passati fenici, assiri, babilonesi, crociati, arabi.
Poi voltare lo sguardo, verso il mare, e pensare che è sempre lo stesso mare.