Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica.
Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo.
Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca.
M. Heidegger, L’abbandono (1959)
Fabio Garzitto
In quest’opera considerevole, a mio avviso, sotto ogni punto di vista, e anzi, sempre a mio parere, incentrata su uno dei temi più importanti con i quali l’umanità dovrà, suo malgrado, confrontarsi (per lo meno mi auguro lo faccia, senza continuare a nascondere la testa sotto la sabbia), Umberto Galimberti, rifacendosi alla filosofia che va dagli antichi greci ai nostri giorni, mette in rilievo come, sebbene noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, ci troviamo invece nella situazione in cui, si potrebbe affermare, è la tecnica stessa a pensarci.
Inconsapevoli, ci muoviamo ancora con i tratti tipici dell’uomo pre-tecnologico, che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona. E poiché il suo funzionamento diventa planetario, questo libro si propone di rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età umanistica e che ora, nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati alle radici. Mutando l’universo simbolico di riferimento, che dà senso sia a categorie generali che alla nostra vita quotidiana, muta anche il nostro modo di rapportarci alla realtà.