To see a World in a Grain of Sand,
and a Heaven in a wild Flower
William Blake
L’ambizione più grande di questo romanzo è forse quella di provare a mostrare come una struttura caratteriale si confronti, o forse sarebbe meglio dire si scontri, con una struttura sociale.
La struttura caratteriale è quella del protagonista, Carlo, un adolescente quasi trentenne che ha cominciato a lavorare in una piccola casa editrice locale.
La struttura sociale è quella contemporanea, così come può essere descritta, per introdurre l’argomento, con le parole del sociologo Guy Debord e del filosofo Friedrich Nietzsche.
Scriveva Guy Debord, nel suo famoso saggio La società dello spettacolo (1969):
Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato da immagini.
Lo spettacolo non può essere compreso come un abuso del mondo visivo, prodotto delle tecniche di diffusione massiva delle immagini. Esso è invece una Weltanschauung divenuta effettiva, tradotta materialmente. È una visione del mondo che si è oggettivata.
Una società in cui si sta dispiegando il nichilismo (tecnologico, aggiungerei) così come previsto da Friedrich Nietzsche in un testo, La volontà di potenza, pubblicato postumo agli inizi del Novecento. Il nichilismo, la caduta di valori, che fa necessariamente seguito alla morte degli dei, come espresso nella seconda citazione qui di seguito sempre di Nietzsche, tratta invece dal Così parlò Zarathustra (1885).
Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l’avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa è qui all’opera.
E il grande meriggio della vita risplenderà quando l’uomo si troverà nel mezzo del suo cammino tra il bruto e l’oltreuomo e celebrerà il suo tramonto quale la sua maggiore speranza; giacché questo tramonto sarà l’annuncio di una nuova aurora. Il perituro benedirà allora se stesso, lieto d’esser uno che passa oltre; il sole della sua conoscenza splenderà di luce meridiana. Morti son tutti gli dei: ora vogliamo che l’oltreuomo viva.
***
La storia narrata in iCal appare da un lato assolutamente quotidiana, locale, “normale”. Nient’altro che un venerdì nella vita di Carlo, da quando si sveglia e si prepara per andare al lavoro, a quando torna a casa dopo una serata di “sballo” con gli amici.
A questa narrazione realista, di un realismo certo postmoderno, non tradizionale, come vedremo più avanti, si aggiunge però un altro personaggio co-protagonista ed un’altra dimensione, che rompe questo mondo diegetico e ne introduce un altro, non più realista, che forse si potrebbe definire onirico, o forse simbolico. L’Ombra. Un personaggio, si dovrebbe forse dire un Archetipo, carico di tradizione filosofica, letteraria, alchemica, spirituale, psicologica. Da Platone a Pindaro, da Chamisso a Jean Paul, da Osho a Jung.
Carlo e l’Ombra vivono in due mondi differenti, forse paralleli, ognuno procede lungo la sua strada, forse l’uno più incosciente dell’altro, eppure vi sono intersezioni, tra questi due mondi, momenti in cui sembrano incontrarsi, o scontrarsi, comunque entrare in relazione.
Ma anche l’Ombra, sembra quasi dire questo romanzo, in fondo è “normalità”. “Quotidianità”.
***
Come nel precedente romanzo, E io sono tuo filio Gianni, si tratta di una microstoria, di eventi accaduti o, come invece in questo secondo romanzo, che potrebbero tranquillamente accadere, situati in piccoli contesti alla periferia della Storia o delle grandi città. Ma ciò che è comune, quotidiano, apparentemente insignificante, a volte, come nella citazione di William Blake, può diventare straordinario.
Una scelta poetica (dal greco poiesis, creare, fare) precisa, quella di narrare situazioni marginali, comuni, che hanno come protagonisti persone ordinarie, la vita della strada, senza troppi fronzoli o veli, una vita lontana da quelle dei ricchi o dei supereroi, delle persone di successo ed interessanti, da quelle delle finzioni letterarie che si nutrono solo di letteratura. Vite che, comunque, per il solo fatto di esistere, hanno un loro indiscusso valore e dignità.
Il riferimento è dunque sicuramente alla letteratura realista, in particolare alla gloriosa stagione del Neorealismo italiano, a cui hanno contribuito alcuni tra i nostri migliori autori. In particolare il giovane Calvino de Il sentiero dei nidi di ragno (1947), l’immenso Vittorini di Conversazione in Sicilia (1941) e di Uomini e no (1945) o, sebbene forse non dichiaratamente incluso in questa corrente, il Moravia de Gli indifferenti (1929). Mi piace citare anche Pierpaolo Pasolini, a cui penso, ancor prima che come a un poeta, ad uno scrittore o a un regista, come ad un intellettuale ‘organico’, legato strettamente, quasi ‘crocifisso’, mi verrebbe da dire, alla realtà a cui apparteneva e cercava, con sentimento, lucidità e grande capacità critica, di raccontare. Una corrente, quella realista, che ha continuato a percorrere la letteratura italiana, per affiorare di tanto in tanto in libri veri ed autentici, ad esempio nel Gavino Ledda di Padre padrone (1977). Per altri versi, mi piace pensare che iCal richiami anche i temi ed i personaggi di Pier Vittorio Tondelli in Altri libertini (1980).
Scrive Calvino nella prefazione alla terza edizione de Il sentiero dei nidi di ragno:
Ci eravamo fatti una linea, ossia una specie di triangolo: I Malavoglia, Conversazione in Sicilia, Paesi tuoi, da cui partire, ognuno sulla base del proprio lessico locale e del proprio paesaggio.
***
Un altro aspetto di iCal può essere trattato richiamandosi al Naturalismo di Émile Zola, risalente alla seconda metà dell’Ottocento, l’antenato francese del Verismo italiano prima (Giovanni Verga, per citarne uno) e del Neorealismo poi, di cui si è già detto qualcosa.
I romanzi di Zola volevano essere, in qualche misura, uno studio “scientifico” della realtà.
Il mio approccio al romanzo è, in qualche misura, simile. Per me il romanzo rappresenta anche un modello di realtà, in cui è possibile far girare delle ‘variabili’ e vedere come interagiscono fra loro.
Scriveva Honoré de Balzac, a sua volta precursore del naturalismo francese, nella prefazione al suo ciclo narrativo La Comédie humaine:
… il romanziere deve ispirarsi alla vita contemporanea, studiando l’uomo quale appare nella società, tenendosi vicino anche nel linguaggio e nello stile alla realtà del mondo rappresentato.
Tuttavia, se dovessi considerare fino in fondo questa mia affermazione, direi che, in fondo, sono tanto “naturalista” quanto “romantico”, ed anche in questo tutto sommato un po’, confusamente, postmoderno. I miei non sono studi “scientifici”. Non sono modelli matematici, a cui necessariamente ad un certo input corrisponde un determinato output, come non lo è la vita stessa. C’è, questo sì, uno studio, storico nel primo romanzo, sociologico e psicologico nel secondo, ma tuttavia credo che ciò fa di un manufatto come può essere un quadro o un libro un’opera d’arte (non voglio con questo dire che i miei lo siano, anche se certamente mi piacerebbe), vi sia, assieme a tutte quelle caratteristiche che fanno di un manufatto un manufatto pregevole, una scintilla che va al di là, forse, di ciò che potrebbe essere espresso in altro modo.
***
Certo sono passati molti anni decenni da allora, la televisione, internet ed i telefonini hanno cambiato la nostra maniera di vivere e di comunicare ed, evidentemente, anche quella di leggere. Lo stile si adatta ai tempi (come del resto, forse, anche i tempi allo stile, ma questo sarebbe un altro discorso). Penso che il mio, forse anche a causa del mio background in semiotica del cinema, possa dirsi cinematografico.
Ritengo che iCal sia un romanzo figlio del suo tempo, e dunque decisamente postmoderno, ad esempio nel suo mettere assieme elementi eterogenei, nella costruzione narrativa, nell’unire alto e basso, non solo per quanto riguarda lo stile della scrittura ma anche per quanto concerne i temi trattati, che passano disinvoltamente da Nietzsche all’hashish, dall’iPod alla religione.
Forse, ma questo non sta a me dirlo, un romanzo generazionale, che rimanda esplicitamente a un film come Into the Wild e al suo protagonista, Christopher McCandless, e fa riecheggiare, in qualche rispetto o capacità, i temi e i personaggi trattati da Douglas Coupland nel romanzo Generazione X. Un rimando culturale che, purtroppo o per fortuna, come nella lingua usata, riecheggia una preponderante influenza della cultura anglosassone su quella autoctona (una differenza, ad un primo impatto anche solo linguistica, che sarà evidente a chi avrà occasione di leggere i miei due romanzi, iCal e E io sono tuo filio Gianni).
Generazione X è un’etichetta, anche sociologica e demografica, che si riferisce indicativamente ai nati tra il 1960 e il 1980. La X rappresenta la mancanza di un’identità sociale definita, una generazione stereotipicamente definita come apatica, cinica, senza valori o affetti. Dall’altra parte, per contrasto, anche tra le più intraprendenti soprattutto a livello tecnologico, è la generazione che ha creato e sostenuto la nascita di internet e tutto ciò che vi è collegato. Douglas Coupland descrive, nel suo romanzo, tre trentenni un po’ sradicati dal sistema, il cui mondo interiore racconta dell’importanza quasi simbolica del viaggio, della ricerca di senso, dell’indeterminatezza, dell’assenza di speranza o di visione di possibilità esistenziali soddisfacenti.
***
In iCal c’è, o ci dovrebbe essere, un parallelismo non solo tra la giornata di Carlo e il viaggio dell’Ombra, ma anche tra la dimensione psicologica di Carlo, tra la sua maniera di rapportarsi a ciò che lo circonda, e la maniera in cui essa si allinea (o si disallinea) alla società in cui vive, o ancor più precisamente alle teorie sociologiche espresse dal suo amico Maurizio sulla società contemporanea.
Carlo ha studiato marketing, ha appena cominciato a lavorare in una piccola casa editrice locale. Maurizio sta scrivendo la sua tesi di dottorato in sociologia o, chissà, antropologia. Secondo Maurizio Carlo sarebbe un ‘sacerdote della nuova religione’. Il nichilismo contemporaneo, annunciato da Nietzsche, si troverebbe in una fase di pieno dispiegamento, con la caduta degli universi simbolici che in passato erano stati in grado di dare un senso alle vite delle persone, e l’unico universo ‘comunicativo’ in grado di prenderne il posto sarebbe quello della società dello spettacolo, dei mass media, della pubblicità e del marketing.
Dalla giornata di Carlo, la giornata in cui si compie il viaggio dell’Ombra, sembrerebbe emergere un ragazzo in qualche misura sospeso dalla vita, anaffettivo, dall’identità frammentata, non scevro da un certo male di vivere, chiuso nella bolla formata dalla matrix della società postmoderna dello spettacolo, che offre, e anzi sarebbe bene dire si costituisce, di gratificazioni momentanee, ma non certo soluzioni. Eppure queste gratificazioni, seppure costituiscano solo leggere indicazioni rispetto alla potenza significativa dei miti del passato, risultano sufficienti, come una leggera brezza, a spostare la bolla di Carlo nella direzione di tutti.
Emerge, dalle pagine di questo romanzo, un tentativo di salvezza personale, forse, nel confronto con l’ombra. Dall’altra parte, però, c’è ancora il meccanismo, la macchina sociale, che incombe. Ma, forse, se è vero che da un punto di vista personale la maniera in cui il singolo partecipa e contribuisce alla società è attraverso il suo lavoro, anche da questo punto di vista, sebbene solo abbozzata e sullo sfondo, pare prospettarsi una soluzione per Carlo. Personale, non sociale. Quello, chissà, il tema del prossimo romanzo.
Ancora, a proposito della società in cui viviamo e del come può essere inteso il lavoro, un’ultima riflessione di Herbert Marcuse in Alcune implicazioni sociali della moderna tecnologia:
L’individuo efficiente è quello il cui rendimento è un’azione solo nella misura in cui è la reazione più appropriata alle oggettive pretese del sistema e la sua libertà si limita alla selezione dei mezzi più adeguati per raggiungere una meta che lui non ha stabilito. Mentre la realizzazione individuale è indipendente dal riconoscimento e si compie nel lavoro, l’efficienza è un rendimento ricompensato e si compie solo nel valore che ha per il sistema.
Un altro ed ultimo tema di cui si vuole dire in questa presentazione, che pare serpeggiare in questo, come nel precedente romanzo, pare essere in effetti quello della libertà.
Ma adesso mi pare di aver detto abbastanza. Forse troppo. Che la parola, o il pensiero, passino al lettore. O alla lettrice.
Firmato
Il Demiurgo