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Sono rimasto molto colpito da questo museo, di cui non avevo mai sentito parlare, situato all’interno di uno splendido palazzo, all’interno di uno splendido parco, posto su di una splendida collina con vista sullo splendido golfo di Napoli.
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Sebbene ospiti anche una galleria di arte contemporanea, mostre temporanee (io ho avuto la fortuna di vedere quella dedicata all’architetto e artista Calatrava), una parte penso permanente dedicata alle porcellane di Capodimonte, ero più interessato alle pitture antiche.
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In particolare le collezioni principali sono due, quella Farnese e quella della Galleria Napoletana.
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Della collezione Farnese fanno parte alcune grandi opere della pittura italiana e internazionale, con autori come Raffaello, Tiziano, Parmigianino, Bruegel il Vecchio, El Greco, Ludovico Carracci, Guido Reni.
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Della Galleria Napoletana, che raccoglie opere proveniente da chiese della città e dei suoi dintorni, fanno parte opere di Simone Martini, Colantonio, Caravaggio, Ribera, Luca Giordano, Franceso Solimena.
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Le brevi notizie che seguono, tratte da Wikipedia, ripercorrono le vicende del museo.
La sua storia inizia nel XVIII secolo. Carlo di Borbone, salito al trono di Napoli nel 1734, si pose il problema di fornire una degna sistemazione alle opere d’arte ereditate dalla madre, Elisabetta Farnese, facenti parte della sua collezione familiare, iniziata da papa Paolo III nel XVI secolo e portata avanti dai suoi eredi.
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Nel 1738 il re avviò i lavori di costruzione di un palazzo, sulla collina di Capodimonte, da adibire a museo.
Con Ferdinando I delle Due Sicilie, nel 1785, venne istituito il Regolamento del Museo di Capodimonte: furono quindi definiti gli orari di apertura, i compiti dei custodi, la responsabilità del consegnatario, l’accesso ai copisti, mentre non venne liberalizzato l’accesso alla popolazione, cosa che invece già avveniva in altre realtà museali borboniche, se non con un permesso rilasciato dalla Segreteria di Stato.
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Un duro colpo al museo venne inferto nel 1799 con l’arrivo a Napoli dei francesi e la breve istituzione della Repubblica Napoletana: temendo il peggio, l’anno precedente Ferdinando aveva già trasferito a Palermo quattordici capolavori. I soldati francesi depredarono numerose opere.
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L’inizio del decennio francese nel 1806 corrispose all’abbandono definitivo del ruolo museale della reggia di Capodimonte a favore di quello abitativo.
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Anche con la restaurazione dei Borbone nel 1815, la reggia di Capodimonte continuò a svolgere la sua funzione abitativa: le pareti delle sale vennero adornate con dipinti inviati da giovani artisti napoletani mandati a Roma per studiare a spese della Corona, che potevano così mostrare i loro progressi.
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Nel 1817 arrivò a palazzo la collezione del cardinale Borgia, fortemente voluta da Murat.
Con l’unità d’Italia e la nomina a direttore della Real Casa di Annibale Sacco, la reggia di Capodimonte, oltre a continuare ad assolvere al suo ruolo di abitazione, tornò nuovamente ad avere, seppure non ufficialmente, una funzione museale.
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L’inizio del XX secolo segnò un periodo di stasi nella fase di musealizzazione: il palazzo divenne abitazione fissa della famiglia del duca di Aosta, mentre le collezioni che formeranno il nucleo del futuro museo erano ancora raccolte nel palazzo degli Studi, che con l’Unità d’Italia aveva preso il nome di Museo nazionale.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale le collezioni dei musei napoletani furono trasferite, nell’estate del 1940, all’abbazia territoriale della Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni e, a seguito dell’avanzata dei tedeschi nel 1943, nell’abbazia di Montecassino. Tuttavia le truppe della divisione Goering riuscirono a trafugare pitture di Tiziano, Parmigianino, Sebastiano del Piombo e Filippino Lippi: queste saranno ritrovate alla fine del conflitto in una cava nei pressi di Salisburgo e restituite a Napoli nel 1947.
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Nel dopoguerra, cavalcando l’onda di entusiasmo per l’opera di ricostruzione del paese, venne attuato un progetto di sistemazione dei musei napoletani. Bruno Molajoli quindi trasferì definitivamente tutte le pitture presso la reggia di Capodimonte, liberata anche della sua funzione abitativa dopo la partenza dei duchi di Aosta nel 1946. Si esaudiva così la richiesta già espressa diversi anni prima da personalità illustri della cultura italiana, tra cui Benedetto Croce, di dedicare il Museo archeologico nazionale esclusivamente alla collezione di antichità, anche perché quest’ultima aveva acquistato nel corso degli anni sempre più spazio sia dalla galleria che dalla biblioteca, già trasferita al palazzo Reale nel 1925.
Con un decreto firmato nel 1949 nacque ufficialmente il Museo nazionale di Capodimonte.
Il museo fu ufficialmente inaugurato nel 1957.