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Chi da tremila anni
Non riesce a render conto
Di sé a se stesso,
Rimane inesperto nell’oscurità,
Può vivere solo giorno dopo giorno.
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Parla di archetipi che determinano lo sviluppo della coscienza. Secondo Jung gli archetipi sono immagini primordiali strutturali dell’inconscio collettivo.
La tesi fondamentale del libro è che nello sviluppo ontogenetico la coscienza egoica dell’individuo deve percorrere i medesimi stati archetipici che hanno determinato lo sviluppo della coscienza all’interno dell’umanità.
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Quando la psicologia, nell’indagare le profondità della psiche del singolo, si imbatte nello strato collettivo, allora si vede posta di fronte al compito di svilupparsi in una terapia del collettivo e della cultura, al fine di far fronte ai fenomeni di massa che devastano l’umanità. Uno degli scopi futuri più importanti di ogni psicologia del profondo sarà la sua applicazione terapeutica al collettivo umano. Quale terapia del collettivo essa dovrà correggere e impedire secondo il punto di vista della psicologia del profondo i disturbi della vita collettiva e del gruppo.
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Gli stadi mitologici dello sviluppo della coscienza sono:
1. L’uroboros
2. La grande madre
3. La separazione dei genitori del mondo
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L’UROBOROS
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Gli stadi mitologici dello sviluppo della coscienza cominciano con lo stadio in cui l’Io è contenuto nell’inconscio. Il primo ciclo del mito è il mito della creazione.
All’inizio c’è la perfezione, la totalità. La perfezione originaria dell’inizio può venire soltanto ‘circoscritta’; essa si sottrae nella sua essenza a una rappresentazione che non sia mitica, poiché l’istanza che descrive non esiste.
L’inizio può essere colto come inizio dell’umanità ma anche come origine dell’infanzia all’interno del singolo.
E. Cassirer, in Filosofia delle forme simboliche, ha dimostrato come tutti i popoli presentino la creazione come creazione della luce. Pertanto l’autentico oggetto della mitologia della creazione è la nascita della coscienza, che si presenta come luce in opposizione all’oscurità dell’inconscio.
La forma di rappresentazione propria dell’inconscio però non è quella della coscienza; l’inconscio non cerca né può cogliere, delimitare e rendere perspicuo il proprio oggetti in una successione di spiegazioni discorsive e in un’analisi logica. La via che percorre è un’altra. Aggrega dei simboli attorno a ciò che deve spiegare, capire e interpretare. La storia simbolica dell’inizio, che ci parla nella mitologia di tutti i tempi, è in tentativo di una coscienza dell’umanità infantilmente primitiva e prescientifica di risolvere problemi ed enigmi che neppure la nostra moderna coscienza è riuscita a risolvere.
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Il problema dell’origine, della provenienza del mondo, è anche il problema della provenienza dell’uomo, della coscienza e dell’Io, è la domanda fatale: “Da dove vengo io?”, che si pone a ogni essere umano quando giunge alla soglia della presa di coscienza di sé. Le risposte mitologiche a questa domanda sono simboliche, la natura figurativa del simbolo usa espressioni come ‘paragonabile a’, analogo a, sostanzialmente simile a. Una risposta simbolica non va mai capita in senso concretistico, letterale, come se fosse una risposta logico-matematica. Il principio di identità e la logica della coscienza costruita su di esso non valgono per la psiche e per l’inconscio. La psiche mescola, tesse e annoda come il sogno, collegando tutto con tutto. Di conseguenza il simbolo è un’analogia, più un’equiparazione che un’equazione; di qui la sua ricchezza di significato, ma anche la sua indeterminatezza.
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Uno degli aspetti simbolici degli inizi è il cerchio, a cui sono associati la palla, l’uovo e il rotundum, il ‘rotondo’ dell’alchimia. Il rotondo è l’uovo, l’uovo cosmico filosofico, il luogo iniziale e germinale, da cui sorge il mondo, ed è anche il perfetto che contiene in sé tutti gli oppostì e li contiene in quanto principio, perché questi contrari non si sono ancora separati e il mondo non ha ancora avuto inizio, e in quanto fine, perché tali contrari sono di nuovo arrivati a una sintesi in esso, perché il mondo in esso ha di nuovo trovato pace. È autarchico.
In quanto vivente che ruota intorno a se stesso, il drago originario degli inizi che si morde la coda, l’Uroboros autogenerante. L’Uroboros è un antico simbolo egiziano, di cui è detto: Draco interfecit se ipsum, maritat se ipsum, impraegnat se ipsum. La rappresentazione più antica ricorre su un vaso scoperto a Nippur. Quale knef dell’antichità è il ‘serpente primitivo’, la figura divina più antica della preistoria.
Tutti i simboli con cui l’umanità ha cercato di comprendere mitologicamente l’inizio sono oggi altrettanto vitali che nei tempi primitivi e hanno un loro posto non soltanto nell’arte e nella religione, ma anche nei processi vitali della psiche individuale, nel sogno e nella fantasia. E fintanto che ci sarà l’umanità la perfezione apparirà come cerchio, palla e rotondo. Questo rotondo è l’autorappresentazione simbolica di uno stato primitivo esprimente la condizione infantile sia dell’umanità che del bambino. Esso corrisponde a un grado dello sviluppo dell’umanità che può essere ‘ricordato’ nella struttura fisica di ogni essere umano. Agisce come fattore transpersonale presente come grado psichico dell’essere già anteriormente alla formazione dell’Io. Inoltre è anche una realtà rivissuta in maniera individuale in ogni prima infanzia e, come stadio anteriore dell’Io, anche un’esperienza personale che ripercorre l’intero sentiero dell’umanità.
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La mitologia è il prodotto dell’inconscio collettivo, e ogni studioso della psicologia primitiva è costretto a fermarsi pieno di meraviglia di fronte all’inconscia saggezza delle risposte che la psiche profonda ha dato e continua a dare alle domande inconsce degli uomini. La conoscenza inconscia di ciò che sta dietro alla vita e al rapporto dell’uomo con essa è depositata nel rituale e nel mito.
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Non fare niente, esistere pigramente nell’inconscio, nell’inesauribile mondo della penombra, in cui la grande nutrice gli fornisce tutto ciò di cui ha bisogno senza fatica e liberamente, questa è la condizione beata del tempo primitivo. Tutto l’aspetto positivo del materno diventa chiaro proprio in questo stadio, in cui l’Io è ancora embrionale e non possiede ancora alcuna attività propria. Qui l’Uroboros del mondo materno è vita e psiche in uno, nutre e procura piacere, protegge e riscalda, consola e perdona. Esso è il rifugio di tutto ciò che soffre, l’oggetto di ogni desiderio. Infatti questa madre è sempre quella che esaudisce che dona e che aiuta. Quest’immagine viva della Grande Madre buona è stata il rifugio dell’umanità in tutti i momenti di bisogno e tale rimarrà sempre, perché la condizione dell’essere contenuto nella totalità, senza responsabilità e senza fatica, senza il dubbio e senza la dissociazione del mondo è appunto paradisiaca e all’interno della vita adulta non sarà mai più realizzata nuovamente nella sua felicità e intensità originarie.
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L’incesto uroborico è una forma di ingresso nella madre, di unione con lei, che si oppone ad altre più tarde forme di incesto. L’unione nell’incesto uroborico presenta il piacere e l’amore non come qualcosa di attivo, bensì come tentativo di dissolversi e di lasciarsi assorbire; è un passivo lasciarsi portar via, uno sprofondare nel pleroma, un disperdersi nel mare del piacere, un Liebestod. La Grande Madre accoglie e riprende in Sé il piccolo bambino e l’incesto uroborico è sempre visto come segno di morte, di dissoluzione definitiva nell’unione con la madre. Caverna, terra, sepolcro, sarcofago, bara sono i simboli di questo rito di riunione, che cominciano con la sepoltura in posizione fetale nei sepolcri dell’età della pietra e terminano con l’urna cineraria contemporanea.
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Il senso di molte forme di desiderio e di nostalgia, della unio mystica del santo fino alla volontà di diventare inconscio del bevitore e al teutonico ‘romanticismo della morte’, è proprio questo ritorno all’incesto uroborico e all’autodissolvimento. L’incesto che chiamiamo uroborico è un tornare indietro, un rinunciare a se stessi. È la forma di incesto dell’Io infantile primitivo, che è ancora vicino alla madre e non è ancora giunto a se stesso, ma può anche essere la forma di incesto dell’Io malato del nevrotico o di un Io anziano e stanco, che ritorna alla madre dopo essersi dispiegato.
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Uroboros significa letteralmente mangia-coda e tutto questo stadio è dominato dal simbolo del tratto alimentare. Fame e cibo sono i primi motori dell’umanità. Il ritmo di essere e divenire dell’esistenza umana si addensa qui intorno alle funzioni del tratto digestivo. La parola d’ordine è mangiare=accogliere, partorire=espellere.
Il linguaggio non riesce a liberarsi ancora oggi da queste immagini elementari. Ancor oggi parliamo come primitivi di una guerra che dilania, di una malattia che divora. ‘Essere ingoiato e divorato’ è un archetipo.
Al livello primitivo la presa di coscienza si presenta come mangiare. Quando parliamo di assimilazione di un contenuto dell’inconscio da parte della coscienza, con ciò non diciamo molto di più di quel che è implicato nel simbolo del mangiare e del digerire.
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Autarchia uroborica: 1 stadio pleromatico della perfezione paradisiaca del non nato, dello stato embrionale dell’Io; 2 uroboros autoalimentatore, che mangia se stesso; 3 autogenerazione, autofecondazione.
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Il distacco dall’Uroboros, l’entrata nel mondo e il confronto con il principio degli opposti che governa il mondo, sono compiti essenziali dello sviluppo dell’umanità e dell’individuo. Il confronto con gli oggetti del mondo interno ed esterno, l’adattamento alla vita collettiva, sia esterna che interna, dell’umanità governa, con vario accento a seconda delle varie fasi, la vita di ogni uomo. Negli estrovertiti prevalgono gli oggetti esterni, gli uomini, le cose e le circostanze, nel caso degli introvertiti hanno il sopravvento gli oggetti interni, i complessi e gli archetipi. Comune a entrambi è il rapporto con l’oggetto, sia esso interno o esterno. In questo senso anche lo sviluppo dell’introvertito, prevalentemente orientato verso il profondo psichico, è ‘vincolato all’oggetto’ anche se qui gli oggetti sono al di dentro e non al di fuori, sono forze psichiche e non forze sociali, economiche o fisiche. Accanto a questa tendenza evolutiva, però, ne esiste – e a ragione – un’altra, che è rivolta verso se stessa o centrovertita e mira allo sviluppo della personalità e alla realizzazione individiuale. Tale sviluppo può assumere i propri contenuti dall’esterno come dall’interno e viene alimentato tanto dall’introversione come dall’estroversione. Il suo punto focale però non sta negli oggetti e nel confronto con essi, si tratti di oggetti interni o esterni, bensì nell’autoconfigurazione, cioè nella costruzione e nel compimento di una struttura della personalità che, quale perno e centro di ogni attività vitale, adopera gli oggetti del mondo interno ed esterno come materiali per lo sviluppo della sua totalità. Tale totalità ha il suo scopo in se stessa, è autarchica, cioè è anche indipendente dal valore utilitario che possiede sia per il collettivo esterno che per le forze interne.
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Diventare cosciente di sé, diventare cosciente in genere, comincia con l’atto di dire di no all’Uroboros. I primi atti di costituzione della coscienza sono tutti negativi. Distanziarsi, distinguersi, delimitarsi, isolarsi da un contesto. Il metodo sperimentale come metodo scientifico per eccellenza è l’esempio tipico di questo processo, in cui un complesso naturale viene scomposto e in qualche modo isolato e diviso, cioè analizzato, poiché il motto di ogni coscienza è: “Determinatio est negatio”. Di fronte alla tendenza dell’inconscio a unire e a fondere tutto assieme, a dire di ogni cosa “Tat tvam asi” “ tu sei quello”, la coscienza ha la tendenza opposta a rispondere decisamante “io non sono quello”.
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La dissoluzione della condizione uroborica iniziale porta alla differenziazione nella dualità. E’ naturale che quando diventa cosciente e acquista un Io, l’uomo si sente spaccato in due, dato che c’è una parte di lui che si oppone violentemente al processo di divenire cosciente. Cioè egli si sente ancora in dubbio, e finché l’Io è acerbo, ciò può condurlo alla disperazione e al suicidio. Finché non arriva a consolidarsi e a rendersi autonomo definitivamente, ciò che è possibile solo con l’uccisione del drago, l’Io adolescente non è ancora sicuro di Sé. L’insicurezza interiore si manifesta come dubbio e produce due fenomeni complementari che caratterizzano la fase adolescenziale. Il primo è il narcisismo, con la smodata importanza, indulgenza e attenzione che esso dedica alla propria persona; l’altro è il Weltschmerz, il dolore universale.
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Il narcisismo è una fase intermedia necessaria per il consolidamento dell’Io. L’emancipazione dell’Io e della coscienza dallo strapotere dell’inconscio porta anzitutto, come ogni emancipazione, a esagerare la propria posizione e il proprio valore. La pubertà della coscienza egoica è accompagnata da una denigrazione del luogo d’origine, dell’inconscio. Ma il pericolo inerente in questa linea evolutiva è la sopravvalutazione del sé, la megalomania di una coscienza egoica che si crede indipendente da ogni cosa, e che comincia con lo svalutare e reprimere l’inconscio e finisce per negarlo del tutto. La sopravvalutazione dell’Io, come sintomo dell’immaturità della coscienza, è compensata da un’autodistruzione depressiva che, quando assume la forma di un Weltschmerz, o di una totale svalutazione di se stessi può portare all’autoannullamento, sintomo caratteristico della pubertà.
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L’analisi di questo stato rivela la presenza di un senso di colpa che ha un’origine transpersonale. Sono in certo modo i genitori primordiali, cioè l’inconscio stesso a muovere l’accusa, non l’Io. L’inconscio uroborico, il rappresentante della legge antica, combatte con tutte le sue forze l’emancipazione del figlio, la coscienza; torniamo così alla sfera d’azione della madre terribile, che vuole distruggere il figlio. Nella misura in cui l’IO conscio si piega a tale accusa e accetta la condanna a morte, esso si comporta come il figlio amante, e come lui è trascinato all’autodistruzione.
Diversa è la situazione quando la coscienza egoica capovolge l’accusa, cioè assume l’atteggiamento distruttivo della madre terribile, ma lo rivolge non più contro se stessa ma contro di lei: Nella mitologia questo processo è rappresentato dal combattimento contro il drago. Tale processo corrisponde alla formazione dell’Io nonché al ritrovamento del tesoro nascosto: la conoscenza. Nondimeno è inevitabile che l’Io viva la propria aggressione come una colpa, perché uccidere, fare a pezzi, castrare, immolare sono una colpa, anche quando, come qui, si tratta del necessario superamento di un nemico, cioè del drago uroborico.
Questa distruzione è strettamente collegata all’atto di divorare e incorporare, e spesso è rappresentata così. La formazione della coscienza equivale a una frantumazione del continuo del mondo in oggetti, parti e figure, che solo così possono essere elaborate, accolte all’interno, introiettate, rese coscienti, cioè mangiate. Quando l’eroe solare, ingoiato dal drago notturno, gli taglia il cuore e lo divora, ciò costituisce semplicemente una rappresentazione plastica dell’essenza di un oggetto. Per questo l’aggressione, la distruzione, lo smembramento e l’uccisione sono collegati alle corrispondenti funzioni corporee del mangiare, del masticare, del mordere, e in particolare al simbolismo dei denti.
Ma la psiche primitiva, proprio per via del suo legame elementare con il mondo e con la natura, vede ogni uccisione, anche quella dell’animale e della pianta, come una ferita inflitta al complesso del mondo, ferita che chiede di essere espiata. L’angoscia di fronte alla vendetta delle potenze primordiali per la separazione dei genitori del mondo e per la sacrilega emancipazione dello strapotere dell’uroboros materno è il senso di colpa, la paura, il peccato originale che stanno all’inizio della storia dell’umanità.
L’eroe vittorioso sul drago rappresenta un nuovo inizio, l’inizio della creazione fatta dall’uomo, che chiamiamo cultura, contrapposta alla creazione naturale, la quale preesiste all’esistenza umana e stende la sua ombra strapotente sui suoi inizi.
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La strutturazione dell’opposizione conscio-inconscio per sua natura implica che l’inconscio venga concepito prevalentemente come femminile e la coscienza prevalentemente come maschile. La correlazione è evidente, difatti l’inconscio, per la sua capacità sia di generare che di partorire che di risucchiare e ingoiare, è affine al femminile. Viceversa il sistema opposto, quello della coscienza egoica, è maschile ed è collegato alle qualità della volontà, della decisione e dell’attività in quanto contrasta con il determinismo e la passiva istintualità dello stato precedente alla coscienza e ancora privo di un Io.
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L’evoluzione della coscienza e dell’Io che abbiamo già delineata corrisponde alla progressiva emancipazione dall’abbraccio soffocante dell’inconscio, abbraccio totale al livello dell’Uroboros e parziale al livello della Grande Madre.
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Lo stadio della separazione dei genitori del mondo, in cui comincia l’indipendenza dell’io e della coscienza e nasce il principio degli opposti, è dunque anche lo stadio della crescita del maschile. La coscienza egoica si pone in opposizione maschile all’inconscio femminile. Questo potenziamento della coscienza si evidenzia nella comparsa dei tabù, che fissano ciò che è bene e ciò che è male, e che delimitano la coscienza di fronte all’inconscio mettendo un’azione conscia al posto di un’azione istintiva inconscia. Il senso del rito, indipendentemente dal fine utilitaristico che l’uomo primitivo gli può attribuire, è proprio quello di rinforzare il sistema della coscienza. Il carattere magico del rapporto che l’uomo primitivo instaura con il mondo è, a parte il resto, una forma antropocentrica di dominio del mondo. Mediante il rito l’uomo si costituisce come centro responsabile dell’universo, che impone un ordine al caos degli eventi inconsci e rende possibile un’azione consapevole. L’orientamento avviene nel rito e nella presa di possesso del mondo attraverso la magia, la quale individua un orientamento nell’universo.
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La coscienza come centro d’azione precede la coscienza come centro della conoscenza, così come il rito precede il mito, e il cerimoniale magico e l’azione etica precedono la visione scientifica del mondo e la conoscenza antropologica.
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La storia dell’eroe come è rappresentata nel mito è la storia esemplare dell’autoemancipazione dell’Io, che si libera dal potere dell’inconscio e afferma la propria esistenza contro le forze pericolose che tendono a sommergerlo.
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Assieme all’indipendenza dalla natura l’Io comincia a sperimentare la propria indipendenza dalla natura come indipendenza dal corpo. Questo è un evento fondamentale dello spirito e della sua capacità di scoprire se stesso come qualcosa di opposto alla natura. L’acquisizione del movimento volontario dei muscoli, cioè il fatto che l’Io sperimenti sulla sua pelle come la sua volontà cosciente sia capace di dominare il mondo, è forse l’esperienza fondamentale da cui è nata la magia.
Se la tecnica è un’estensione dell’utensile inventata per dominare meglio il mondo esterno, a sua volta l’utensile non è altro che un’estensione della muscolatura volontaria. Nell’uomo la volontà di dominare la natura e il mondo è semplicemente un’estensione e una proiezione di quest’esperienza fondamentale del potenziale dominio dell’io sul corpo, cioè del fatto che i muscoli obbediscono alla volontà.
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All’inizio la coscienza egoica e il dominio dello psichico e dello spirituale sono uniti al corpo in un’unità inseparabile. Ciò significa che la sfera dell’istinto e quello della volontà non sono separate, come no sono separate la sfera dell’istinto e quello della coscienza. Anche nell’uomo moderno la psicologia del profondo ha scoperto che la separazione di questi elementi, prodottasi con l’evoluzione culturale (la tensione polare tra essi costituisce appunto quel che chiamiamo cultura), è in larga misura illusoria. Dietro azioni che l’Io coordina con la sfera delle decisioni e della volontà c’è l’istinto, e in generale ci sono istinti e archetipi dietro gli atteggiamenti e gli orientamenti della coscienza. Ma mentre per l’uomo moderno è sempre possibile decidere volontariamente e orientare la propria coscienza, nella psicologia dell’uomo primitivo e del bambino quegli elementi sono mescolati. Atti volontari, stati emotivi, pulsioni e reazioni somatiche sono ancora completamente o quasi fusi tra loro. Lo stesso avviene per l’originaria ambivalenza degli affetti, che successivamente si risolve in posizioni contrapposte. Odio e amore, gioia e tristezza, piacere e dolore, attrazione e repulsione, sì e no all’inizio compaiono giustapposti e fusi e non posseggono quel carattere di opposizione che acquisteranno in seguito.
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Con il suo atto eroico di creare il mondo uscendo dal cerchio uroborico e separando gli opposti, l’Io si pone in uno stato che sperimenta come solitudine e come divisione. Con l’emergere dell’Io va perduta la beata situazione infantile in cui si dimora all’interno di un essere più grande che regola la vita e in cui la dipendenza da esso è un dato scontato.
Con l’esistenza dell’Io e della coscienza non solo la solitudine, ma anche la sofferenza, il lavoro, il bisogno, il male, la malattia e la morte entrano nella vita in quanto vengono percepiti dall’Io. Quando l’Io scopre se stesso nella sua solitudine, contemporaneamente percepisce anche il negativo e si pone in rapporto con esso; per questo stabilisce un nesso tra quei due dati e considera così la propria comparsa come una colpa, della quale il dolore, la malattia e la morte sono il castigo. Il sentimento dell’esistenza proprio dell’uomo primitivo viene invaso da una quantità di influenze negative intorno a lui, e al tempo stesso dalla coscienza di essere colpevole di tutto il negativo che lo colpisce. Ciò equivale a dire che per l’uomo primitivo non esiste il caso e che tutto il negativo consegue da una trasgressione, sia pure inconscia, di una legge, di un tabù, ecc. Qui la Weltanschauung dell’uomo primitivo, cioè la sua ‘rappresentazione’ di questi nessi causali, è fondamentalmente emotiva, dato che è basata su un sentimento della vita che è stato profondamente sconvolto dalla formazione dell’Io e della coscienza.
Essere di fronte al mondo è il contrassegno dell’uomo, la sua sofferenza e la sua peculiarità, poiché quel che prima appare una perdita diventa poi un elemento positivo. A un livello superiore però l’uomo, e soltanto l’uomo, è contraddistinto essenzialmente dall’essere in rapporto con il mondo esterno. Egli diventa allora parte di un’unità superiore e qualitativamente diversa, che non è più l’unità anteriore alla costituzione dell’Io, o meglio il Sé cioè la totalità dell’individuo, permane intatto. Anche questa nuova unità però poggia su quel fondamentale ‘essere a fronte’ che è entrato nel mondo con la separazione dei genitori primordiali e con l’avvento della coscienza egoica.
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La perdita originaria è anche chiamata castrazione originaria. Il senso di perdita ha dei riflessi emotivi e si manifesta come sentimento di colpa ed è prodotto dalla perdita della participation mystique. Il fenomeno della castrazione originaria è collegata con il peccato originale e con la perdita del paradiso terrestre.
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Il fondamentale dualismo della gnosi, che pone una parte spirituale superiore e una materiale inferiore, presuppone la divisione dei genitori del mondo; Il pleroma possiede il carattere uroborico della pienezza, della totalità, della indifferenziazione, della sapienza, dell’esistenza primordiale, ecc; solo che qui l’Uroboros possiede una natura più maschile-paterna, con appena qualche tratto della Sophia femminile, a differenza dell’Uroboros materno, dove sono i tratti maschili ad essere quasi assenti. Per questo per la gnosi la via della liberazione consiste nell’accrescere la coscienza e ritornare nel puro mondo dello spirito, perdendo completamente l’aspetto inconscio, mentre la liberazione uroborica ad opera della grande Madre esige proprio la rinuncia e la perdita del principio cosciente e il ritorno nell’inconscio.
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Nella religione l’atto primordiale, la separazione dei genitori del mondo, riceve una formulazione teologica. Esse cercano di dare una motivazione razionale ed etica all’effettivo sentimento di mancanza che accompagna l’Io nella sua emancipazione, interpretando come peccato, caduta, ribellione e disobbedienza quel che in realtà è l’atto liberatore fondamentale dell’uomo, la sua liberazione dallo strapotere dell’inconscio e la sua autoaffermazione come Io, coscienza e individuo. Ma quest’azione, come ogni azione e ogni liberazione, non va disgiunta da un sacrificio e quindi da una sofferenza, e proprio per questo è così importante e difficile decidere di compierla.
L’elemento decisivo è il fatto che questa divisione non viene vissuta solo come una sofferenza passiva e come una perdita, bensì come un’azione attivamente distruttiva. La separazione è simbolicamente identica all’uccisione, al sacrificio, allo smembramento e alla castrazione. Ciò che colpisce è che ora l’Uroboros subisca la stessa sorte che l’amante adolescente subiva da parte dell’Uroboros materno stesso. Nella mitologia, infatti, gli episodi in cui il dio-figlio castra il vecchio dio-padre sono altrettanto frequenti quanto quelli in cui egli taglia a pezzi il drago originario e con quei pezzi costruisce il mondo. Questo smembramento- un tema che ritorna anche nell’alchimia – è la premessa di ogni creazione.
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L’UCCISIONE DELLA MADRE
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Dividendo l’Uroboros in una coppia di opposti, i genitori del mondo, e ponendo se stesso al centro, il ‘figlio’ ha strutturato la propria maschilità e ha compiuto felicemente il primo passo sulla strada che lo porterà all’autonomia. Con questo atto l’Io ha ardito sfidare le due facce dell’Uroboros e ha attirato su di sé l’ostilità sia dell’aspetto superiore che di quello inferiore. Ora si trova ad affrontare il combattimento contro il drago, cioè lo scontro con questi due poli opposti.
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Il drago è sia maschile che femminile, come l’Uroboros. Il combattimento è dunque contro i genitori primordiali.
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Freud ha interpretato questo cosa in maniera personalistica nel complesso di Edipo, ma Jung ha mostrato come la madre in realtà non è personale ma è un simbolo. Non è il padre o la madre che l’eroe combatte, ma il femminile (l’incoscio) e il maschile. Evidentemente, quando il patriarcato ha soppiantato il dominio della Grande Madre, il ruolo del Padre Terribile è stato proiettato su quelle figure maschili che prima rappresentavano l’aspetto terribile della Grande Madre.
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Mentre nell’incesto uroborico l’Io è ancora in uno stato embrionale e finisce per dissolversi, l’incesto patriarcale è un incesto passivo, in cui il figlio adolescente viene sedotto dalla madre e finisce per subire la castrazione matriarcale. L’eroe invece è caratterizzato da un incesto attivo, la penetrazione volontaria e cosciente nel femminile pericoloso e il superamento della paura di fronte al femminile. Vincere la paura della castrazione è vincere il potere della madre, che per il maschile è connesso al pericolo della castrazione.
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Per l’Io e per il maschile il femminile è sinonimo di inconscio e di non-Io e quindi anche di oscurità, di tenebra, di nulla, di cavità, e di vuoto; con le parole di Jung: “In conclusione il vuoto è un grande segreto femminile. E’ ciò che è radicalmente estraneo all’uomo, la cavità, la profondità inesplorata, lo yin”. Qui madre, grembo, abisso e inferno sono equiparati. Il grembo del femminile è il luogo d’origine, da cui si proviene. E così ogni donna, in quanto grembo, è il grembo primordiale della Grande Madre da cui tutto ha avuto origine, il grembo dell’inconscio. Essa è per l’Io una minaccia di dissoluzione, di perdita di se stesso, cioè di morte e di castrazione. Abbiamo visto che proprio la natura narcisistica del figlio adolescente equiparato al fallo e alla sessualità stabilisce un collegamento essenziale tra sessualità e paura della castrazione. La morte del fallo nel femminile qui è identificata simbolicamente con la castrazione ad opera della Grande Madre e psicologicamente con la dissoluzione dell’Io nell’inconscio. Ora però la maschilità e l’Io dell’eroe non sono più identici al fallo e alla sessualità. A questo livello un’altra parte del corpo si erge simbolicamente come fallo superiore: la testa, simbolo della coscienza, assieme al suo organo di controllo: l’occhio. Testa e occhio compaiono dunque sempre come simboli del cielo, del maschile, così come i simboli alito-respiro- fumo e parola-Logos.
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Edipo sconfigge il drago sconfiggendo la sfinge, poi l’incesto della madre è solo un lato della stessa medaglia. Tuttavia Edipo è solo un mezzo eroe, perché lo fa inconsciamente. Alla fine si acceca e c’è l’autocastrazione, quindi la vittoria della madre terribile.
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La seconda fase è l’Orestiade, in cui il figlio uccide la madre per vendicare il padre e introduce l’epoca del patriarcato.
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L’UCCISIONE DEL PADRE
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La pericolosità dell’inconscio, la sua capacità di sbranare, distruggere, divorare e castrare si presenta all’eroe in forma di mostri, di prodigi, di animali, giganti ecc. Un’analisi di queste figure dimostra che sono bisessuali come l’uroboros. Ciò significa che l’eroe si scontra con tutti e due i genitori primordiali e deve vincere sia la parte maschile che quella femminile.
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La struttura del padre, sia essa personale o impersonale, ha due volti, cioè positiva e negativa, come quella della madre.
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C’è però un’importante differenza tra la figura della madre e quella del padre. Mentre la madre, l’inconscio, l’istinto, sono relativamente immutabili nel tempo, la figura del padre, dell’Io, della coscienza, sono invece soggetti al tempo, alla società, alla cultura.
Ciò permette di comprendere e completare una delle scoperte fondamentali di Jung: cioè la psicologia dell’anima nell’uomo e quella dell’animus nella donna. Si può cioè comprendere come nell’inconscio della donna troviamo una quantità di figure maschili spirito-animus, mentre nell’inconscio dell’uomo troviamo una sola figura psiche-anima bifronte. Le molteplici forme assunte nell’evoluzione cuturale da ciò che si è chiamato cielo, cioè delle immagini padre-marito all’interno dell’umanità, sono rimaste stratificate nell’esperienza inconscia della donna, così come l’immagine unitaria madre-moglie ha lasciato la sua impronta nell’esperienza inconscia dell’uomo.
Nella condizione prepatriarcale sono gli uomini e gli anziani i rappresentanti di quel che abbiamo chiamato il cielo ed essi trasmettono il patrimonio culturale collettivo proprio di quell’epoca e di quella comunità. I padri sono i rappresentanti della legge e degli ordinamenti, dei tabù dei tempi primitivi fino alla giurisprudenza moderna, e trasmettono i beni più alti della civiltà e della cultura, a differenza delle madri, le quali amministrano i valori più alti, cioè più profondi, della natura e della vita. Il mondo dei padri è dunque il mondo dei valori collettivi, è storico ed è relativo al determinato livello evolutivo di coscienza e di coltura raggiunto dal gruppo. Il sistema di valori culturali dominante, cioè il canone dei valori che conferisce a una cultura il suo volto e la sua stabilità, è fondato sui padri, gli uomini adulti che rappresentano e rafforzano la struttura religiosa, etica, politica e sociale del collettivo.
I padri sono coloro che custodiscono la maschilità e impartiscono ogni educazione. Cioè essi non hanno un’esistenza solo simbolica, ma, essendo il supporto delle istituzioni che incarnano il canone culturale, presiedono all’educazione di ogni individuo e decretano il momento in cui esso è diventato adulto. Questo aspetto è del tutto indipendente da quale sia il contenuto del canone culturale, presiedono all’educazione di ogni individuo e decretano il momento in cui esso è diventato adulto. Questo aspetto è del tutto indipendente da quale sia il contenuto del canone culturale, se sono le leggi e i tabù di una tribù di cacciatori di teste, oppure di una nazione cristiana. Sono sempre i padri a sorvegliare che agli adolescenti siano inculcati i valori dominanti del collettivo e che venga annoverato tra gli adulti solo chi si identifichi con questo canone di valori collettivo. Nella struttura psichica del singolo il canone di valori trasmesso dai padri e assorbito con l’educazione si manifesta come coscienza morale.
In tempi normali, quando la cultura è stabile, quando il canone dei valori e quello culturale rappresentati dai padri conservano la propria validità nel corso delle generazioni, la relazione padre-figlio consiste nel trasmettere e fare assorbire tali valori culturali al figlio, dopo che egli nella pubertà ha superato la prova dei riti di iniziazione. Tali tempi normali e la psicologia a loro collegata sono riconoscibili dal fatto che non presentano, o suggeriscono appena, un problema padre-figlio. Non dobbiamo lasciarci ingannare dall’esperienza di un periodo ‘anomalo’ come il nostro. L’identità monotona tra padri e figli in una cultura stabile è la regola. Sono identici nel senso che il canone culturale paterno che contempla le istituzioni e i riti di passaggio mediante i quali il giovane diventa un adulto e il padre diventa un anziano, mantiene la sua indiscussa validità, sicché il giovane accetta la prescritta transizione all’età adulta altrettanto naturalmente quanto il padre il suo passaggio fra gli anziani.
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A questo c’è però un’eccezione: l’eroe, l’individuo creativo. Questi, per creare un mondo nuovo e migliore, deve necessariamente infrangere l’antica legge. È il nemico del vecchio sistema dominante, con i suoi valori culturali e morali, e entra così in contrasto con i padri e con il loro rappresentante, il padre personale. Il compito imposto dal padre archetipico transpersonale si scontra con il padre personale. Comando di Geova ad Abramo: “vattene dalla tua terra, dal tuo parentado, dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti mostrerò”.
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L’eroe è generato da un dio e da una vergine, La vergine madre è unita direttamente con il dio che genera il nuovo ordine, e solo indirettamente con il padre personale. Per questo l’eroe viene ‘esposto’ insieme alla madre, perché una profezia annuncia che colui che nascerà dalla donna sarà chiamato ad assumere il potere al posto del vecchio re. Proprio le persecuzioni e i pericoli che la figura del re o del padre ostile impone all’eroe lo rendono tale. Gli ostacoli che il vecchio sistema paterno cerca di opporre costituiscono perciò la condizione indispensabile per l’azione eroica.
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Quindi il padre cattivo che vuole sconfiggere l’eroe assieme alla Madre Terribile. Dalla sua parte l’eroe ha il nuovo ordine, il dio padre, e la madre personale.
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Caso del figlio eterno, il rivoluzionario permanente che manca di individuare il padre spirituale e continua a battersi per sempre.
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LA PRIGIONIERA E IL TESORO
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Lo scopo mitologico della lotta contro il drago è sempre qualche tipo di tesoro. Occorre parlare della duplice polarità tipologica del mito e dei simboli, cioè il fatto che per sua natura e per sua conformazione il mito, come la fiaba, agisce in egual misura su tipi psicologici opposti; ad esempio tanto l’introverso quanto l’estroverso si trovano rappresentati nel mito e sentono che essi si riferisce a loro. Di conseguenza il mito va interpretato a livello oggettivo per l’estroverso e a livello soggettivo per l’introverso.
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Per fare un esempio, al livello oggettivo la prigioniera va concepita come una donna realmente esistente nel mondo, e rappresenta dunque il problema della relazione maschile femminile. D’altra parte è anche un valore transpersonale, rappresenta cioè un elemento psichico collettivo all’interno dell’umanità. Pertanto la prigioniera può essere interpretata anche come qualcosa di interno, cioè l’anima.
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Ciò è diverso ancora dall’interpretazione estroversa o introversa, quindi la combinazione darebbe quattro possibilità.
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L’eroe che sconfigge il drago poi si unisce con la prigioniera. Al livello del mito questo significa il passaggio al patriarcato, quando l’unione con il femminile non determina poi la morte, ma la capacità di provvedere alla propria prole secondo i dettami della cultura e non più, o non solo, quelli della natura.
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Tutte le figure di liberatori e di salvatori la cui vittoria termina senza la liberazione della prigioniera, senza l’unione sacrale con essa e quindi senza la fondazione di un regno, presentano qualcosa di problematico in senso psicologico. La loro manifesta mancanza di rapporto col femminile è compensata da un fortissimo legame inconscio alla Grande Madre. La mancata liberazione della prigioniera si manifesta nella permanenza del dominio della grande madre nel suo aspetto mortale, e porta all’alienazione del corpo e della terra, all’ostilità verso la vita e al rifiuto del mondo.
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La scoperta della realtà dell’anima corrisponde mitologicamente alla liberazione della prigioniera e alla conquista del tesoro. Il primordiale potere creativo della psiche, che nei miti della creazione era stato proiettato nel cosmo, viene ora sperimentato come umano, cioè come una parte della personalità dell’uomo: la sua anima. Solo ora l’eroe diventa uomo, solo con questo atto di liberazione i processi transpersonali dell’inconscio collegati ai genitori primordiali diventano processi psichici interni di una persona. Chi giunge a liberare la prigioniera e a conquistare il tesoro, entra in possesso dei tesori dell’anima, che non sono solo desideri, bensì precisamente immagini di possibilità, cioè di qualcosa che uno può e deve avere. Il compito dell’eroe è risvegliare queste immagini, “che vogliono e debbono uscire dalla notte”, per “conferire al mondo un volto migliore”, ed è tutt’altro che una masturbazione.
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La realtà della nostra come di qualsiasi cultura consiste nella realizzazione di queste immagini che giacciono nella psiche. Ogni campo dell’arte, della religione, della scienza e della tecnologia, tutto ciò che è stato fatto, creduto, pensato, deriva da questo centro creativo originario. La forza autocreativa dello psichico è il vero mistero ultimo dell’uomo, ciò che lo rende l’immagine di Dio creatore e lo distingue da ogni altro essere vivente. Queste immagini, idee, valori e possibilità del tesoro nascosto nell’inconscio sono portate alla luce e realizzate dall’eroe nelle sue varie manifestazioni: il salvatore e l’uomo d’azione, il veggente e il saggio, il fondatore e l’artista, l’inventore e lo scopritore, lo scienziato e il capo.
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Ogni portatore di cultura ha felicemente operato una sintesi tra coscienza ( IO) e inconscio creativo (anima-prigioniera). L’eroe incarna il cielo e l’archetipo del padre, così come la figura ringiovanita e umanizzata della vergine liberata incarna il lato creativo e benefico della grande madre. Questo vuole significare il rito, e con esso l’umanità intera.
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L’evoluzione della personalità procede fondamentalmente in tre direzioni. La prima è l’adattamento verso l’esterno, il mondo e le cose, l’estroversione; la seconda è l’adattamento verso l’interno, la psiche oggettiva e gli archetipi, l’introversione. La terza è la centroversione, la tendenza all’autoformazione o all’individuazione che ha luogo all’interno della psiche stessa; essa è indipendente dalle altre due tendenze e dalla loro evoluzione.
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OSIRIDE, OVVERO LA TRASFORMAZIONE
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Il tipo d’eroe estroverso tende all’azione: è il fondatore, la guida e il liberatore, che con la sua azione cambia il mondo. Il tipo introverso è il portatore di cultura, il redentore e il salvatore, che innalza i valori dell’interiorità esaltandoli come scienza e come saggezza, come legge e come fede, come lavoro da compiere e come esempio da seguire. Comune ai due tipi di eroe è l’azione creativa di conquistare il tesoro; condizione necessaria per questo è l’unione con la prigioniera liberata, con il femminile, la quale è a sua volta madre dell’evento creativo, e l’eroe ne è il padre.
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Il terzo tipo di eroe non intende cambiare il mondo affrontando la realtà interna o quella esterna, ma tende a una trasformazione della personalità. In questo caso il vero obiettivo dell’eroe è di modificare se stesso, e l’effetto liberatore che ciò ha sul mondo è solo un effetto secondario della propria trasformazione. Anche trasformando se stesso l’eroe compie un’azione esemplare per l’umanità, ma la sua coscienza non è volta specificamente al collettivo; la centroversione in lui esprime una tendenza evolutiva fondamentale e naturale della psiche umana, presente fin dall’inizio, su cui si fonda non solo l’autoconservazione, ma anche l’autoformazione.
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La centroversione porta alla nascita di un punto stabile e capace di resistere alla pericolosa fascinazione del mondo e dell’inconscio che tenta di abbassare il livello di coscienza e disintegrare la personalità. Sia il tipo introverso che il tipo estroverso possono soccombere a questo pericolo. Con la formazione dell’Io e della coscienza e con il loro consolidamento, la centroversione cerca di proteggere la personalità e di ovviare al pericolo della disintegrazione. In questo senso la formazione dell’individualità e il suo sviluppo costituiscono la risposta dell’uomo ai “pericoli dell’anima”, che lo minacciano dall’interno, e ai “pericoli del mondo”, che lo minacciano dall’esterno. Magia e religione, arte, scienza e tecnologia sono sforzi creativi dell’uomo per sventare questo pericolo su due fronti. Al centro di questo tentativo sta il singolo individuo creativo, un eroe, che plasmando la vita in nome del collettivo (anche quando sia costretto a contrapporsi ad esso) plasma se stesso.
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Così gli studi archetipici dello sviluppo della coscienza culminano realmente in Osiride e nella sua trasformazione, che costituisce la forma mitologica arcaica di quel fenomeno che vari millenni più tardi dovrà ricomparire nell’individuo moderno come processo di individuazione. Ma qui prende l’avvio un nuovo sviluppo. Come una specie di rivoluzione copernicana, la coscienza si rivolge all’interno e diventa consapevole del Sé, attorno a cui l’Io gravita in un perpetuo paradosso di identità e non identità. A questo punto comincia il processo psicologico di assimilazione dell’inconscio da parte della coscienza moderna, e il conseguente decentramento dall’Io al Sé contraddistingue l’ultimo stadio raggiunto dalla coscienza moderna.
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PARTE SECONDA: GLI STUDI PSICOLOGICI DELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITA’
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Un contributo allo studio dell’energia psichica e alla psicologia della cultura.
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L’UNITÀ ORIGINARIA
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All’inizio l’individuo, dopo essere stato in unione “mistica” con il mondo, forma la stessa unione con il gruppo. W. Trotter: “La reazione appropriata dell’individuo è di rispondere a un impulso ricevuto dal gregge e non direttamente al motivo reale dell’allarme.”
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Il passaggio dallo stadio dell’Uroboros a quello della Grande Madre è anche una transizione dall’epoca non figurativa a quella della figurazione. Gli dei vengono concepiti adesso come figure determinate centrate attorno a un Io, cui vengono ascritte certe qualità, e non più come demoni magici, occulti e indeterminati, dotati di una potenza tipo mana. Vediamo sorgere da ciò che è privo di forma figure visibili, dal demoniaco animalesco a essere dotati di tratti specificamente umani.
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Il vecchio sistema cerca di tener duro finché le energie opposte sono abbastanza forti da portare a un suo superamento. Anche qui la guerra è il padre di tutte le cose. I sistemi psichici possiedono una stabilità interna che Jung ha chiamato “inerzia della libido”. Ogni sistema (e ogni archetipo corrisponde a un determinato gruppo di contenuti che si è sistematizzato) possiede una spinta all’autoconservazione, che si manifesta psichicamente nel fatto che l’Io viene posseduto e tenuto prigioniero da tale sistema e vive nella sua sfera d’influenza. Uscire e guadagnare libertà d’azione diventa possibile solo quando il sistema della coscienza egoica dispone di una quantità di libido superiore a quella del sistema che lo tiene in suo potere, cioè solo quando la volontà dell’Io è abbastanza forte per liberarsi dall’archetipo.
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Al suo primo livello di coscienza la centroversione si manifesta come narcisismo, un diffuso senso del corpo in cui l’unità corporea è la prima espressione dell’individualità. Il rapporto magico con il corpo è un tratto essenziale della centroversione; l’amore per il proprio corpo, il suo abbellimento e la sua sacralizzazione appartengono allo stadio primitivo dell’autoformazione. Ciò è evidente, per esempio, nella vasta diffusione del tatuaggio tra i primitivi e nel fatto che il tatuaggio individualizzato, non conforme al modello collettivo stereotipato, è una delle prime forme in cui si esprime l’individualità.
Col progredire dello sviluppo l’Io passa dalla fase narcisistica corporea a quella fallica, in cui la coscienza del corpo e del sé coincide con la virilità eccitata e bramosa. Il passaggio dalla fase narcisistica a quella fallica è caratterizzata da numerosi fenomeni, in cui sono particolarmente accentuati gli stadi intermedi. La natura androgina ed ermafroditica di divinità e sacerdoti, e i culti in cui è accentuata la bisessualità originaria della grande madre uroborica, caratterizzano la transizione dal femminile e maschile.
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LA SEPARAZIONE DEI SISTEMI
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Centroversione e differenziazione (Stadi mitologici: separazione dei genitori del mondo e combattimento contro il drago).
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Il passo successivo nell’evoluzione della personalità umana è determinato dalla scissione in due sistemi; la coscienza e l’inconscio; o meglio, prima si ha la divisione dei due sistemi, solo successivamente, nello sviluppo della coscienza occidentale, si perviene a una forma più pericolosa di separazione: la scissione. La mitologia rappresenta tale sviluppo in due stadi: la separazione dei genitori del mondo e il mito dell’eroe, dove il secondo stadio è già contenuto in parte nel primo.
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In un primo tempo il compito della coscienza è principalmente di arginare le forze dilaganti dell’inconscio, di tenerle a distanza, di resistere ai loro attacchi, cioè di rinforzare la stabilità del’io. Nel corso di questo sviluppo, l’io perviene alla coscienza della propria diversità e singolarità, la quantità della libido del sistema aumenta e l’io passa dall’autodifesa a una campagna attiva di conquiste.
Dobbiamo cercare di vedere come il personale e l’individuale si liberino dallo strapotere del transpersonale e del collettivo. I processi mediante i quali la coscienza si distanzia dall’inconscio sono diversi: la frammentazione, per divisione e per scissione, di archetipi e complessi; la svalutazione, cioè la deflazione, dell’inconscio; la personalizzazione secondaria di contenuti originariamente transpersonali; la nautralizzazione di componenti emotive che potrebbero sopraffare l’Io; la facoltà di astrazione, mediante la quale l’inconscio è rappresentato prima in immagini, poi come un’idea, e infine viene razionalizzato come un concetto. Attraverso tutti questi processi di differenziazione, dall’inconscio transpersonale diffuso che non conosce individui ed è solo collettivo si forma un sistema della personalità il cui massimo rappresentante è la coscienza egoica.
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EQUILIBRIO E CRISI NELLA COSCIENZA
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Importanza del cielo nella lotta contro il drago. Nell’infanzia il padre personale, che rappresenta il collettivo, diventa il .portatore del complesso dell’autorità, associato ai valori collettivi, e che successivamente, nella pubertà, è la società degli uomini, il collettivo maschile, ad assumersi questa rappresentanza.
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Il mondo dei simboli costituisce un ponte fra la coscienza, che lotta per emanciparsi e sistematizzarsi, e l’inconscio del collettivo con i suoi contenuti transpersonali. Come ha mostrato Jung, il simbolo media il passaggio dell’energia psichica dall’inconscio alla coscienza, in modo che essa possa essere così applicata e volta a fini pratici. Egli descrive il simbolo come una ‘macchina psicologica’ che ‘trasforma energia’. Il simbolo sposta una certa quota della libido impiegata nelle azioni abituali quotidiane, e la investe su di una attività inconsueta. La ‘sacralizzazione’ dell’azione inconsueta è ancora oggi il modo per indurre l’uomo ad abbandonare le sue abitudini quotidiane e a compiere l’azione inconsueta che da lui si esige. Per trasformare un impiegato in un soldato assassino gli si parla di simboli che si chiamano Patria, Dio, Libertà, Re ecc.
Come per il simbolo individuale, anche per il simbolo sociale, che vale per un gruppo, “l’origine… non è mai esclusivamente cosciente né esclusivamente inconscia”, ma deriva da “entrambi i fattori”. Il simbolo possiede pertanto un lato razionale, “che si concilia con la ragione, ma anche un lato inaccessibile alla ragione stessa, non essendo composto solo di dati a carattere razionale ma anche dei dati irrazionali della pura percezione interna ed esterna”.
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Il mito, l’arte, la religione e il linguaggio sono le forme simboliche in cui si esprime lo spirito creativo nell’uomo; in esse quello spirito assume una forma oggettiva, percepibile, e prende coscienza di se stesso attraverso la coscienza che ne ha l’uomo.
Ma la funzione che hanno il simbolo e gli archetipi di conferire senso ha anche un lato fortemente emotivo, e l’emotività che essi attivano ha anch’essa un orientamento; essa cioè possiede un senso e conferisce un ordine.
“Ogni relazione con l’archetipo, vissuta o semplicemente espressa, è ‘commovente’, cioè essa agisce perché sprigiona in noi una voce più potente della nostra. Colui che parla con immagini primordiali, è come se parlasse con mille voci; egli afferra e domina, e al tempo stessa eleva, ciò che ha designato dallo stato di precarietà e di caducità alla sfera delle cose eterne; egli innalza il destino personale a destino dell’umanità e al tempo stesso libera in noi tutte quelle forze soccorritrici, che sempre hanno reso possibile all’umanità di sfuggire ad ogni pericolo e di sopravvivere persino alle notti più lunghe”. (Jung)
Così la possessione da parte di un archetipo al tempo stesso conferisce un senso e libera, perché sprigiona una parte delle energie emotive che erano state bloccate con lo sviluppo della coscienza e con la conseguente neutralizzazione delle componenti emotive. Inoltre con queste esperienze – le quali, come abbiamo visto, erano originariamente esperienze di gruppo – si determina una riattivazione della psiche del gruppo, che elimina, perlomeno provvisoriamente, l’isolamento dell’io individuale.
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La cultura di un popolo o di un gruppo è determinata dal fatto che in essa opera un canone archetipico che rappresenta i suoi valori più profondi e più alti e che ne organizza la vita con la religione, l’arte, le feste e le attività quotidiane. Finché quella cultura si trova in uno stato di equilibrio, l’individuo vive ben inserito e protetto, ma anche saldamente incasellato, nel tessuto del canone culturale archetipico del proprio gruppo.
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I simboli e gli archetipi sono le proiezioni di quell’aspetto della natura umana che determina i contenuti, dà forma, ordine e conferisce un senso. Per questo i simboli e le figure simboliche sono le dominanti di ogni cultura umana, sia primitiva che evoluta. Essi sono la rete di significati che l’umanità tesse attorno a sé, e ogni studio, ogni interpretazione di una cultura è lo studio e l’interpretazione degli archetipi e dei loro simboli.
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Tanto l’arte quanto la religione concorrono a mantenere la cultura in equilibrio, in quanto provvedono a far sì che essa non si allontani troppo dalle radici e che, d’altra parte, non si irrigidisca in un cieco conservatorismo.
L’eroe, come portatore di questo lavoro di compensazione, si estrania dalla situazione dell’uomo normale e dal collettivo. Egli dunque soffre di questa decollettivizzazione ma soffre anche perché nella sua lotta per la libertà egli è anche la vittima e il rappresentante di ciò che deve essere superato e non può non portarne il peso nella sua anima. Già secondo Jung in Symbole und wandlungen der libido riportava l’attenzione sulla necessità fatale per cui l’eroe in linea di principio è sempre condannato al sacrificio e alla sofferenza.
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Ogni nuova concezione e ogni idea creativa includono in sé elementi che fino a quel momento erano inconsci, e l’inclusione della componente emotiva legata ai contenuti inconsci provoca un senso di eccitazione. Solo l’integrazione del sistema conscio con il profondo livello emotivo dell’inconscio rende possibile un processo creativo.
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Il vecchio sistema dominante di valori è in piena disintegrazione. Non sono soltanto Dio, il re e la patria che sono diventati entità problematiche, ma anche la libertà, l’eguaglianza, la fraternità, l’amore, la giustizia, il progresso umano e il senso della vita. Ciò non significa che, come entità transpersonali di natura archetipici, esse non continuino ad influenzare le nostre vite, ma sono diventati problematici. In tal modo l’individuo non sostenuto da un suo sviluppo interiore capace di compensare questo squilibrio perde i benefici di un’ordinata struttura culturale. Egli è tagliato fuori dalla possibilità di sperimentare il transpersonale, vede il suo mondo impoverirsi e perde la sicurezza e il senso della vita. In questa situazione osserviamo due reazioni. La prima è una regressione alla Grande Madre, a uno stato di incoscienza, una disponibilità ad aggregarsi in massa e a conquistarsi così, come un atomo di collettivo, una nuova sicurezza e una nuova collocazione con nuove esperienze transpersonali. L’altra consiste in una fuga verso il Grande Padre, verso l’isolamento della coscienza e l’individualismo. Quando l’individuo vive in questa seconda modalità di esclusione dalla struttura culturale, egli cade prigioniero dell’isolamento e dell’inflazione dell’Io e della sfera privata. Il risultato di questo sviluppo psicologico è una vita centrata esclusivamente sull’io, così piena d’inquietudine, d’insoddisfazione e di eccessi, così amorfa e così povera di senso in confronto alla vita simbolica. In seguito alla disintegrazione del canone archetipico singoli archetipi s’impossessano dell’uomo e lo consumano come demoni malvagi. La mancanza di scrupoli e la scaltrezza sono universalmente riconosciuti e ammirati; il culto della bestia non è affatto una prerogativa esclusiva della Germania, esso prevale ovunque vengano esaltate l’unilateralità, la circonvenzione e la spregiudicatezza, cioè dove si è abdicato alle complesse acquisizioni dell’evoluzione umana in favore della rapacità dell’animale predatore. A un atteggiamento nichilista nei confronti della cultura e dell’umanità si affianca una dilatazione smodata dell’Io e della .sfera personale, che si manifesta con egoismo brutale in un totale disinteresse per il bene comune e nella volontà di condurre una vita egocentrica in cui il potere, il denaro, e le esperienze occupano ogni momento del giorno. Non solo il potere, il denaro e l’amore, ma anche la religione, l’arte, e la politica, nella misura in cui sono le determinanti esclusive della formazione dei partiti, nazioni, sette, movimenti e di ismi di ogni genere, s’impossessano delle masse e distruggono l’individuo. Lungi da noi l’idea di equiparare il tipo d’uomo predatore, egoista e distruttivo che alligna nel mondo dell’economia e dell’alta politica, all’uomo dedito a un’idea; questi è posseduto dagli archetipi che determinano il futuro dell’umanità, ed è a questo entusiasmo che egli sacrifica la propria vita. Nondimeno una psicologia della cultura fondata sulla psicologia del profondo ha il compito di portare alla luce una nuova etica che tenga conto dell’effetto collettivo di queste possessioni, e che quindi se ne assuma anche la responsabilità.
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La disintegrazione del canone archetipici della nostra cultura, che ha determinato una straordinaria attivazione dell’inconsico collettivo (o che forse ne è un sintomo che, attraverso i fenomeni di massa, incide sulla nostra vita personale), è solo un fenomeno di transizione. Mentre ancora si combattono le guerre micidiali del vecchio canone, possiamo già scorgere, nel singolo individuo, la forma possibile della futura sintesi, e quasi discernerne i tratti. Dirigere l’attenzione sull’inconscio e accostarsi consapevolmente alle forze dell’inconscio collettivo, questo è il compito della futura coscienza umana. Nessun cambiamento esterno del mondo, nessuna trasformazione sociale potrà placare i demoni, gli dei, e i diavoli della psiche umana e impedire che distruggano senza posa ciò che la coscienza edifica. Finché essi non ricevono il posto che gli spetta nella coscienza e nella cultura, non daranno mai pace all’umanità.