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Inizio questa rassegna con quella che forse è la meta più iconica dell’Egitto, patrimonio Unesco dal 1979.
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Giza è una cittadina con più di 2,5 milioni di abitanti, oggi attaccata al Cairo (che ne ha circa 20 milioni dichiarati). Le piramidi si raggiungono con la metro e poi con un taxi o un bus. Per arrivarci si possono anche prendere i minibus locali che si fermano a chiamata facendo particolari segni con le mani, a seconda di dove si deve andare. SI salta dentro e fuori al volo. Li ho usati grazie a un egiziano che mi ha preso in simpatia e proposto di visitare le piramidi assieme a lui e al figlio a cavallo con una guida. Beh, un po’ costoso, ma quando mi sarebbe capitato di nuovo…
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Si passa dalla città a una zona desertica, sembra di uscire dal tempo ed entrare in un’altra dimensione. Queste tombe, costruite da re vissuti più di quattro mila anni fa, sono talmente eccezionali da essere probabilmente conosciute per fama dalla maggior parte degli abitanti del mondo. Così tanto che vederle dal vivo non ci lasciano stupiti ed ammirati come dovrebbero.
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Saranno le più antiche costruzioni architettoniche di tali dimensioni e grandiosità giunte sino a noi? La risposta è no. Di solo poco precedenti paiono essere la vicina piramide di Saqqara, sempre a Giza, e Stonehenge. Gli egizi costruivano per impressionare, questo mi è stato chiaro visitando Abu Simbel. Forse anche per durare. Le piramidi di Giza sono state ben costruite, si sa di piramidi crollate.
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Tutta l’area che comprende le piramidi di Giza anticamente era la necropoli di Menfi, capitale dell’Antico Regno, allora situata sul delta del Nilo e i cui resti si trovano oggi a circa 25 km dal centro dell’attuale Cairo.
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All’interno dell’area si trovano la piramide di Cheope, l’unica tra le 7 meraviglie del mondo antico giunta sino a oggi, la piramide di Chefren, la piramide di Micerino e la Sfinge, attorniati da altri piccoli edifici noti come piramidi delle Regine, templi funerari, rampe processionali, templi a valle e cimiteri di varie epoche.
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Dal punto di vista architettonico gli spigoli della piramide rappresenterebbero i raggi del Sole. Questo è possibile dato che gli egizi adoravano tale divinità, e le piramidi erano ricoperte da calcare bianco e avevano la punta d’oro. Dovevano così essere ancora più impressionanti di quanto siano oggi. Secondo alcuni sarebbero delle scale grazie alle quali i faraoni sarebbero potuti salire al cielo. Ognuno dei quattro lati è posizionato verso un punto cardinale. Secondo alcune teorie le tre grandi piramidi sarebbero allineate con la costellazione di Orione, secondo altri con la costellazione del Cigno. È piuttosto probabile che vi fosse un generale progetto astrologico sottostante.
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Una guida mi ha spiegato la sua teoria su come sarebbero state costruite. Con il fango del Nilo si costruivano delle rampe su cui poi si tiravano e spingevano i blocchi con l’ausilio di schiavi e animali, poi le rampe venivano tolte. Quest’ipotesi mi pare sensata, dato che rampe simili, costruite in mattoni fatti di fango seccato, sono ancora visibili addossate ad alcuni muri dei templi di Luxor.
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Da quel che ho capito le piramidi vengono aperte a turno, una alla volta, così che il giorno della visita risulta possibile visitarne solo una all’interno. Dentro del resto non c’è molto da vedere, non ci sono sculture o altro e anche le pareti sono intonse, a differenza ad esempio delle tombe nella Valle dei Re a Luxor, riccamente decorate. Certo che comunque entrare in una piramide è un’esperienza da provare, bisogna camminare accucciati perché la galleria d’entrata è molto bassa, almeno in quella di Chefren. Anche nel cunicolo non si può che rimanere esterrefatti dalla perfezione del lavoro, da come le pietre sono state tagliate e accostate.
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All’interno della Piramide di Cheope passò una notte Napoleone, che non volle mai dire niente al riguardo, forse un’esperienza mistica. Con lui, durante la famosa campagna d’Egitto, nacque l’egittologia.
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L’ingresso della piramide di Chefren fu scoperto nel 1818, tra l’altro, da un italiano, l’esploratore e avventuriero padovano Giovanni Battista Belzoni.
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Al proposito quando sono entrato ho trovato un simpatico custode che, quando ha saputo che ero italiano, mi ha raccontato una barzelletta che mi ha fatto ridere per tutta la giornata. Quando arriva al mattino, dice, ogni giorno, porta un piatto di maccaroni in offerta all’esploratore, e quando torna a prendere il piatto la sera lo trova sempre vuoto. Italiani: pizza, mafia, mandolino e maccaroni.
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Per finire, la Grande Sfinge è una gigantesca scultura in pietra calcarea. Rappresenta una sfinge sdraiata, ovvero una figura mitologica con la testa di un uomo e il corpo di un leone. Si crede sia stata ricavata in un unico blocco scolpendo una collina rocciosa alta 20 metri. È lunga 73 metri, alta 20 e larga 19. Nonostante le sue dimensioni appare quasi piccola se confrontata con le tre grandi piramidi. Quella di Cheope, tanto per dare un’idea, ha una base quadrata di 230 metri ed è alta 139. I blocchi che la compongono sono quasi 2,3 milioni, ed ognuno pesa circa 2,5 tonnellate.
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Nella sua lunghissima storia, la Sfinge è stata chiamata in diversi modi: per gli Arabi musulmani e per i Copti è ancor oggi Abū l-Hōl, ossia “padre del terrore”. Il nome Sfinge che le attribuiamo deriva dal greco Σφίγξ Sphínx (gen. Σφιγγός, termine in relazione col verbo σφίγγω che significa “strangolare”), derivante a sua volta dall’egizio traslitterato in šsp ˁnḫ (shespankh) che significa “statua vivente” ed era il nome attribuito alle statue di leoni con testa di uomo. La Stele del Sogno la identifica con un altro nome, quello con cui era conosciuta nell’antichità: Hor em akhet, reso Armachis in greco. “Horus dimora (oppure è, si trova) all’orizzonte” (qualcuno traduce anche “Horus sorge all’orizzonte”).
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La Grande Sfinge pare sia stata creata attorno al 2500 a.C., al tempo del faraone Chefren (2558-2532 a.C.). Si pensa che rappresenti il faraone stesso e sia posta davanti alla sua piramide per proteggerla. Di fatto si trova lateralmente alla rampa processionale che conduce dal tempio a valle alla piramide.
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Nell’Ottocento la Sfinge era completamente ricoperta di sabbia. Nel 1816 d.C. fu mandato a esplorare il sito di Giza per conto dell’Inghilterra Giovanni Battista Caviglia, navigatore italiano ed egittologo. Egli fece due scavi per liberarla dalla sabbia. Il ritrovamento più importante fu la stele collocata tra le zampe della Sfinge, che a quel tempo non poteva ancora essere decifrata.
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Solo all’inizio degli anni venti dell’Ottocento l’egittologo francese Jean-François Champollion decifrò i geroglifici con la stele di Rosetta e riuscì a tradurre l’antica lingua egizia. Così la stele ritrovata ai piedi della Sfinge poté essere interpretata. Si scoprì che parlava di un antico scavo al monumento intrapreso dal faraone Thutmose IV del Nuovo Regno. La stele è comunemente chiamata Stele del sogno, in quanto narra che la causa del restauro fu un sogno, fatto dal faraone mentre si riposava all’ombra della statua, in cui la Sfinge, chiamata Horemakhet (“Horus all’Orizzonte”) Kheperi-Re-Atum (“il sole dell’alba, di mezzogiorno e del tramonto”), gli si rivolge per donargli il suo regno sulla terra in cambio delle sue cure. Questo termine si riferisce al dio-cielo egizio Horus nella forma del Sole che appare all’alba all’orizzonte orientale, dove è rivolta la Sfinge, e al tramonto all’orizzonte occidentale. Questa posizione fa pensare che, fin dalla sua costruzione, la bestia mitologica incarnasse tale divinità.
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Nel 1936 l’egittologo Selim Hassan intraprese a Giza una serie di scavi che ripulirono dalla sabbia l’intero sito della Sfinge. Da quel momento in poi richiese soltanto una manutenzione regolare.