Autore: Fabio Garzitto
Umberto Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Milano, Feltrinelli, 1999
Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica.
Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo.
Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca.
M. Heidegger, L’abbandono (1959)
Fabio Garzitto
In quest’opera considerevole, a mio avviso, sotto ogni punto di vista, e anzi, sempre a mio parere, incentrata su uno dei temi più importanti con i quali l’umanità dovrà, suo malgrado, confrontarsi (per lo meno mi auguro lo faccia, senza continuare a nascondere la testa sotto la sabbia), Umberto Galimberti, rifacendosi alla filosofia che va dagli antichi greci ai nostri giorni, mette in rilievo come, sebbene noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, ci troviamo invece nella situazione in cui, si potrebbe affermare, è la tecnica stessa a pensarci.
Inconsapevoli, ci muoviamo ancora con i tratti tipici dell’uomo pre-tecnologico, che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona. E poiché il suo funzionamento diventa planetario, questo libro si propone di rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età umanistica e che ora, nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati alle radici. Mutando l’universo simbolico di riferimento, che dà senso sia a categorie generali che alla nostra vita quotidiana, muta anche il nostro modo di rapportarci alla realtà.
Diego Fusaro, La notte del mondo. Marx, Heidegger e il tecnocapitalismo, Milano, Utet, 2019
L’umanità dell’uomo e la cosalità delle cose si dissolvono nel calcolato valore commerciale di un mercato che non solo si estende fino ad abbracciare la terra come mercato mondiale, ma che, in quanto volontà di volontà, mercanteggia nell’essenza stessa dell’essere.
M. Heidegger, Sentieri interrotti
Fabio Garzitto
In questo testo Diego Fusaro rinnova un filone della ricerca filosofica che si potrebbe far risalire ai decenni successivi alla Rivoluzione Industriale, ad esempio proprio con lo stesso Marx, e che, con continui riaffioramenti, giunge fino ai giorni nostri. In particolare, l’autore conduce un’analisi di come il tema della tecnica sia stato trattato da Marx ed Heidegger, di come l’approccio pur critico di questi due autori sia stato in sostanza differente, e di come potrebbe essere coniugato per poter tornare a guardare al futuro con speranza.
Marx, come sappiamo, è il teorico dell’alienazione e della necessità quasi morale di compiere l’esodo dal regno della reificazione capitalistica. Heidegger riprende questo tema, sostenendo però che Marx non avrebbe capito fino in fondo l’essenza della tecnica. D’altra parte, se Marx sosteneva non solo che fosse possibile, ma si dovesse cercare alternative al modus operandi del capitalismo, Heidegger sembra invece considerare il mondo della produzione tecnica e le sue leggi economiche come date, addirittura come compimento della metafisica occidentale, come un destino, considerando la tecnica come un Gestell, un impianto anonimo e autoreferenziale, sotteso e ormai immanente alla nostra maniera di vivere.
L’epoca delle passioni tristi, Miguel Benasayag, Gerard Schmit, 2004 (ed. orig. 2003)
Gli autori di questo libro sono due psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza. Preoccupati dalla richiesta crescente di aiuto rivolta loro, hanno voluto interrogarsi sulla reale entità e sulle cause di un apparente massiccio diffondersi delle patologie psichiatriche tra i giovani. Un viaggio che li ha condotti alla scoperta di un malessere diffuso, di una tristezza che attraversa tutte le fasce sociali.
Ciò che a mio parere risulta interessante, in questo testo, è il considerare la tristezza, l’ansia o la depressione come un fenomeno sociale ormai diventato di massa, la cui ragione trascende, a questo punto, il piano individuale psicologico e risiede, invece, sul piano del collettivo sociale. A questo proposito i due autori svolgono nel corso del libro un’interessante analisi della società contemporanea postmoderna. In quanto terapeuti, si chiedono: il loro compito è adattarsi alla società creando esseri capaci di competere, o creare esseri capaci invece di convivere?
Vedremo alla fine la soluzione proposta, interessiamoci adesso all’analisi. La società contemporanea assiste alla fine (forse momentanea, forse no) della concezione teleologica della storia, cioè dell’idea che essa abbia una finalità. Constatiamo il progresso delle scienze e, contemporaneamente, dobbiamo fare i conti con la perdita di fiducia e con la delusione nei confronti di quelle stesse scienze. Libero è colui che domina, questo era il fondamento dello scientismo positivista. Possediamo delle tecniche, ma ne siamo, anche, posseduti. Ci limitiamo a premere dei pulsanti, ignorando il più delle volte quali meccanismi vengano innescati.
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