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Se uno ne avesse la possibilità non dovrebbe per nessuna ragione al mondo perdersi il tempio di Abu Simbel. Patrimonio dell’Unesco è tra i luoghi più affascinanti che abbia visto, non solo in Egitto.
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La base di partenza per raggiungere Abu Simbel è Assuan, una cittadina con un’energia vibrante e dove ho passato giorni davvero piacevoli.
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Arrivare ad Assuan partendo dal Cairo significa attraversare tutto l’Egitto seguendo il corso del Nilo. Sono circa 900 km di terre in gran parte inesplorate dalle masse turistiche.
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Tra Assuan ed Abu Simbel, al confine col Sudan, ci sono altri 300 Km.
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Come molte delle architetture egizie arrivate fino a noi, il tempio è stato costruito per impressionare. In questo caso particolare per spaventare e tenere lontani i vicini Nubiani.
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Il complesso archeologico è composto da due enormi templi rupestri che furono ricavati dal fianco della montagna su ordine del faraone Ramses II nel XIII secolo a.C.
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Fu scoperto solo il 22 marzo 1813 dallo svizzero Johann Ludwig Burckhardt, quasi completamente ricoperto di sabbia.
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Vi fece accesso per la prima volta il 4 agosto 1817 il mitologico archeologo italiano Giovanni Battista Belzoni.
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Del tempio, circondato dalle acque del lago Nasser, ciò che impressiona è la grandiosità dell’entrata scolpita nella roccia.
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Effettivamente ci si sente quasi sopraffatti dalla sua imponenza e pervasi da un senso di malcelata ammirazione (immaginando che a fare il lavoro siano stati gli schiavi).
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Altra considerazione, che lo rende ancora più sensazionale, è che non è nato dove adesso si trova, ma è stato completamente decostruito e ricostruito in loco.
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La ragione fu la costruzione della diga di Assuan, che ne avrebbe causato l’allagamento.
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Il luogo in cui ora si trova, e dove sembra essere sempre stato, si trova 280 metri più all’interno e 65 metri più in alto rispetto a dove si trovava.
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Ci vollero 5 anni e 2000 persone per realizzare l’impresa, e chi abbia la fortuna di vederlo si renderà senz’altro conto di cosa ci sia voluto.
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I due templi vennero tagliati a blocchi, immagazzinati e poi ricostruiti. Parteciparono ai lavori molte imprese internazionali, anche italiane.
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A tagliare i blocchi furono gli specialisti tagliatori di Marmo di Carrara.
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