Egitto XIV: Edfu

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Tra Luxor ed Assuan, procedendo nella direzione che dal mare porta verso l’entroterra lungo il Nilo, ci sono alcuni templi che furono importanti luoghi di culto in passato. 

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Il tempio di Edfu, dedicato ad Horus, risale all’Antico Regno e fu restaurato durante il Nuovo Regno da Thutmosi III (1479-1425 a.C.). Fu poi inglobato nella nuova ricostruzione durante la dinastia tolemaica, le cui antiche vestigia sono tuttora visibili. La costruzione del tempio oggi visibile di Edfu iniziò nel 237 a.C. e fu completata nel 57 a.C nel periodo tolemaico. È il secondo tempio più grande dopo quello di Karnak.

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Penso che il motivo per cui questo ed altre opere architettoniche egizie siano abbastanza ben preservate è che sono state per secoli completamente ricoperte dalla sabbia. Si possono trovare fotografie in proposito piuttosto impressionanti. Questo tempio in particolare venne liberato nel 1860 dall’archeologo Mariette. 

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Assieme al tempio, vennero riportate alla luce tre statue colossali di falchi, rappresentanti il dio Horus, in granito nero recanti la doppia corona dell’Alto e Basso Egitto.

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Risulta essere l’archetipo del tempio egizio con struttura “a cannocchiale” con una teoria di sale sempre più piccole e sempre più buie fino al sacrario del naos completamente avvolto nell’oscurità. Esattamente il contrario della tipologia del tempio solare.

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Trovo interessante questa idea architettonica a “cannocchiale”, che semplifica visivamente l’accesso di alcune scuole sapienziali e mistiche alla conoscenza, con stanze sempre più ristrette. 

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Tra le incisioni che decorano le pareti e le colonne vi sono anche rappresentati molti antichi dogmi religiosi quali i quattordici ka del dio solare Ra ed altre divinità quali Ra-Harakhti (vedi sito salvato su telefono), Hathor e Horo Sema-tawi, ossia Horo “che unisce le due Terre”.

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Il concetto di Ka è molto interessante nella complessa teoria egizia, molto legata al culto della morte e della vita ultraterrena, a quanto sembrerebbe. Potrebbe essere tradotto con “anima”. Il geroglifico che lo rappresenta è costituito d due braccia aperte. 

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Abbracciare qualcuno, per gli antichi egizi, aveva il significato di trasferirgli la propria essenza vitale. Al momento della creazione gli dei ricevono dal creatore il loro “Ka”, allo stesso modo gli uomini lo ricevono dal faraone e dai propri antenati. Esso infatti non è una caratteristica individuale, ma una sorta di codice spirituale genetico ricevuto attraverso i progenitori, una forza vitale ininterrotta che unisce le varie generazioni e ne determina il destino.

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Creato dal dio Khnum, insieme con l’uomo e trasmesso attraverso il seme maschile di generazione in generazione, il “Ka” diventa inattivo dopo la morte fino a quando il defunto non si riunisce ad esso grazie al potere magico dei riti funerari. In egiziano antico, l’espressione raggiungere il proprio ka è una delle perifrasi per dire morire. Chi muore si unisce al proprio “Ka” e a quello degli antenati, anzi diventa egli stesso un antenato, garante della continuazione delle energie vitali. E’ anche messo in relazione con il benessere: “al tuo Ka” è espressione del tutto analoga al nostro “alla tua salute”. Le quattro felicità cui aspirano gli uomini – ricchezza, longevità, una morte serena e la posterità – sono personificate da quattro Kaw, ma analogamente il “Ka” di un uomo può soffrire dei suoi eccessi. Il peccato infatti era definito “abominio per il Ka”.

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Questo concetto di “anima” si suddivide in ulteriori 12 concetti che approfondisce il concetto in una maniera teoricamente molto sofisticata. Eccone alcuni:

l’Akh è l’ipostasi “luminosa” dell’eterna energia cosmica;

il Ba è la parte divina, totalmente spirituale, riconducibile alla personalità dell’anima di una persona;

il termine Ka, indicava la forza vitale di ciascun individuo;

poi ci sono, ad esempio il corpo, e l’ombra. 

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Il pilone del tempio di Edfu è un ingresso monumentale destinato a impressionare i visitatori di un tempio per onorare il dio o gli dei che il tempio onora. Il pilone di Edfu è alto 36 metri e largo 80 metri. Su di esso, si possono vedere scene di massacri dei nemici dell’Egitto e rappresentazioni del dio falco che interagisce con altri dei egiziani. 

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I visitatori del tempio vengono accolti da due statue di falco di Horus, ciascuna alta 3 metri (10 piedi) e incoronata con la corona dell’Egitto unificato, il Pschent. Il Pschent rappresentava l’unione dell’Alto e del Basso Egitto. Indossando questa corona in due parti indossata da Horus, i suoi sacerdoti confermavano che tutto l’Egitto era sotto la protezione del dio falco: nulla poteva accadere al paese. 

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Numerosi i dettagliati rilievi, tra i quali la processione delle barche solari, la “Festa annuale di Opet“, la posa della prima pietra del tempio, le personificazioni dei nomoi e lo splendido decoro astrale delle barche del Sole e della Luna con quattordici divinità simboleggianti le fasi di luna calante.

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Sopra i varchi di accesso del sacrario è rappresentato il disco solare alato simbolo di Horus di Behedet, nome egizio della località del delta del Nilo ove, in origine, nacque il culto.

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Sul fondo, come già accennato vi era l’ultima segreta stanza, quella del sacrario contenente il tabernacolo monolitico in granito, con la statua del dio falco Horo, eretto dal sovrano Nectanebo I della XXX dinastia e che risulta essere il reperto più antico insieme al supporto della barca sacra.

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Numerose le cerimonie religiose che vi si svolgevano, tra le quali tre feste molto importanti come la “Festa del Nuovo Anno”, il matrimonio annuale di Horus con Hathor di Dendera e la vittoria del dio su Seth.

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Un altro suggestivo rito annuale era l’incoronazione di un falco vivo appositamente allevato nel tempio dai sacerdoti e questa ipostasi del dio ci è pervenuta pietrificata nella statua zoomorfa che ancora sfida lo scorrere del tempo con atavica essenza. 

P.S. Ho saccheggiato le informazioni qua e là da internet perché non avevo voglia/tempo di riscriverle.

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