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Bisognerebbe iniziare dicendo che la Valle dei Re è una necropoli e che, nonostante ciò, bisognerebbe visitarla. Perfino un egizio, scherzando ma non troppo, mi ha detto che il lato ovest del Nilo, a Luxor, è dove ci sono le tombe. In effetti non c’è solo la Valle dei Re, ma anche quella dei Nobili e delle Regine. Quest’ultima non l’ho visitata e pertanto non la tratterò. La tomba di Nefertari, dalle immagini che ho potuto vedere, ha delle decorazioni meravigliose.
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È curioso come la maggioranza dell’arte antica preservata fino ad oggi, probabilmente la quasi totalità, provenga o consista in luoghi di culto o tombe. Isn’t it?, come direbbero i cugini inglesi?
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La peculiarità della Valle dei Re, per quanto mi riguarda, ciò che la rende una visita che vale la pena, sono le decorazioni delle pareti. Al di là dell’indiscutibile valore come luogo di culto, paragonabile a quello delle Piramidi di Giza, che però all’interno sono spoglie, qui c’è (quella che io chiamo) arte egizia preservata in maniera incredibile, considerando i millenni passati.
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L’accesso è a meno di 3 km dalla riva occidentale del Nilo. Qui vale forse la pena aprire una piccola parentesi per dire che con la guida che mi ha accompagnato per tutta la giornata abbiamo preso un taxi che ci ha scorazzato in giro tutto il pomeriggio per la riva occidentale a un prezzo più che accettabile.
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Le informazioni che seguono sono state trovate sul web.
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Per circa 500 anni, a partire dalla XVIII sino alla XX dinastia, ovvero dal 1552 a.C. al 1069 a.C., è stata la sede delle sepolture dei sovrani del Nuovo Regno d’Egitto..
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Il nome originale della valle, in realtà due valli confluenti, in lingua egizia era Ta-sekhet-ma’at (“il Grande Campo”). Veniva anche chiamata ta-int, “la Valle”.
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Il luogo, che ha un’estensione di circa 0,7 km², fu scelto per ragioni che ci sono utili anche per capire la raffinatezza del pensiero egizio.
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La prima ragione potrebbe essere la pietra calcarea di cui è costituita la valle, facilmente scavabile e lavorabile.
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La seconda dal fatto, presentando un solo accesso, era facile da controllare dalle sentinelle. Tutte le tombe furono comunque depredate, probabilmente con la complicità di guardiani e dei sacerdoti. L’unica eccezione è costituita dalla tomba di Tutankhamon, che fu recentemente scoperta e che ci dà l’idea dei tesori che dovevano contenere.
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Un altro fattore fu certamente la vicinanza del Nilo, che consentiva il trasporto dei materiali e visite agevoli.
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A questi fattori pratici pare se ne possano aggiungere anche di religiosi. La dea Hathor, connessa all’idea di rinascita dei faraoni defunti, era infatti la protettrice dell’area montuosa tebana e la Valle era inoltre sovrastata da una montagna sacra, l’antica Dehenet (“La fronte”), che era il regno della dea Meret-Seger, ovvero “Colei che ama il silenzio”. Solo dalla Valle, inoltre, e solo da questa prospettiva, la cima richiama nettamente la forma di una piramide.
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Al momento sono state scoperte un totale di 65 tombe, ma non è detto che non ce ne siano altre. Anzi, penso sia probabile..
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Sebbene le tombe siano comprensibilmente diverse, comprendendo sepolture appartenenti a tre diverse dinastie, hanno tutte lo stesso schema logico: a un’entrata segue un “santuario in cui riposano gli dei dell’est e dell’ovest”; poco oltre si apre una sala dell’attesa, quindi una prima sala colonnata detta anche “sala del carro”, a cui segue la camera funeraria (o “seconda sala colonnata”), detta anche “sala dell’oro”, che ospita il sarcofago.
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Non tutte le tombe sono decorate, ma se lo sono si tratta di testi sacri che fanno parte della cerimonia della sepoltura, servono ad accompagnare il defunto nel suo viaggio nell’aldilà.
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I testi consistono, generalmente, in raccolte di formule, o detti, o racconti incentrati sul viaggio notturno del Dio sole e della sua lotta con le forze del male (tra cui il serpente Apopi) che tentano di fermarlo per non farlo risorgere al mattino.
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Dopo il declino del regno egizio la valle perse d’importanza, il ricordo del suo ruolo probabilmente si perse nei tempi.
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Sappiamo che si ricominciò a parlarne nel I secolo a.C. con i greco-macedoni qui giunti al seguito di Alessandro Magno. Dal III secolo a.C. al II secolo d.C. l’Egitto fu meta di curiosi e appassionati, tra i quali l’Imperatore Adriano nel 130. I primi studiosi della Valle sono stati gli scrittori greci Diodoro Siculo (che visitò l’Egitto tra il 60 a.C. e il 56 a.C.) e Strabone (tra il 25 e il 24 a.C.).
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Dopo il periodo greco-romano, la Valle dei Re cadde nuovamente nell’oblio. Le comunità cristiano-copte che occuparono le tombe più facilmente raggiungibili le trasformarono in abitazioni e in chiese. I cristiani copti purtroppo deturparono quasi tutti i resti dell’antico egizio, i segni lasciati sono visibili quasi ovunque. Del resto per loro si trattava di un’idolatria diversa dalla loro.
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L’interesse per l’Egitto si accentrò in seguito nella zona del Cairo, dove ci sono le Piramidi, fino a che il cartografo fiammingo Abraham Ortelius, in una sua mappa del 1595, non identificò Luxor con l’omerica “Tebe dalle cento porte”.
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Uno dei primi viaggiatori a raggiungere “il luogo delle mummie chiamato Biban el Melouc” fu il padre cappuccino Charles-François d’Orléans, che vi giunse nel 1668 assieme al confratello Protais. Nel 1708 fu la volta di Padre Claude Sicard, capo della missione gesuitica al Cairo, che pare avesse localizzato 10 tombe.
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La prima pubblicazione si deve a un inglese, Richard Pococke (successivamente vescovo di Meath, in Irlanda), che visitò il Paese negli anni ’30 del ‘700.
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Nel 1768, James Bruce visitò la Valle e nel 1790 descrisse dettagliatamente la tomba KV11 di Ramses III tanto che tale sepoltura è oggi nota anche come “tomba Bruce” o “tomba delle arpiste”.
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Nacque una sorta di mania di collezionismo che spinse re e nobili a finanziare ricerche.
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Solo nel 1693 il console francese Benoît de Maillet suggerì di fare viaggi in Egitto e nella Valle dei Re non solo per collezionare valori ma anche per studiare le tombe.
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Celebre fu l’italiano Belzoni che trasse un sarcofago di alabastro translucido a Londra e cercò di venderlo al British Museum, che lo rifiutò. Venne poi acquistato da un privato.
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In questo periodo, con la decifrazione dei geroglifici da parte di Jean-François Champollion, nasce l’egittologia.
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Anche i governi cominciarono a partecipare alle ricerche.
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La prima grande spedizione di tale genere fu quella di Ippolito Rosellini, professore di lingue orientali all’Università di Pisa, intrapreso nel 1828 con il finanziamento del Granduca di Toscana.
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Nel 1842 giunse in Egitto, organizzata da Federico Guglielmo IV di Prussia e capeggiata dall’archeologo tedesco Karl Richard Lepsius, una spedizione che soggiornò nel paese per quattro anni (sino al 1845). Lepsius viene oggi considerato il padre della moderna egittologia.
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Le ricerche proseguirono per tutto il Novecento.